Da qualche giorno mi chiedo cosa succederebbe se Wikileaks intercettasse il mondo dell’arte del nostro Paese. Ne uscirebbe un casino, ma anche – finalmente – una mappa senza veli delle nostre cattivissime abitudini.
Scopriremmo direttori di museo marchettari e spesso servi di gallerie potenti. Curatori attenti ad anteporre il proprio nome (ed il proprio ego) a quello degli artisti e dell’arte. Politici che raccomandano persone irraccomandabili. Collezionisti che comprano solo in nero. Galleristi incazzati perché non pagati. Artisti vessati da galleristi avidi e curatori insensibili. E poi rivalità stupide, mancanza di collaborazioni e tutto quello che fa della nostra nazione un paese di serie B.
Fin qua niente di nuovo, sono cose che succedono a tutte le latitudini, solo che da noi con frequenza insostenibile. Ma una cosa, forse, emergerebbe più delle altre dal nostro sistema: la totale mancanza di sincerità. Ad ogni livello, tutti a parlar bene di tutti: guai a criticare la mostra, l’artista o il curatore. Le opere o i testi o le mostre sono sempre interessanti o stimolanti; mai belli o brutti, mal riusciti o pretenziosi. O se proprio proprio fanno ribrezzo allora non convincono.
Scopriremmo così con Wikileaks il mare di bugie che si dicono che ci tengono prigionieri in questo continuo bla bla, in cui solo pochi hanno l’intelligenza di dire con sincera onestà quello che pensano. Cosa che ci porterebbe forse un passo più indietro del baratro in cui ci siamo da soli confinati.
Assange, ci pensi tu?