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L’ignoranza del funzionario

«Cos’è che volete mettere dentro un palazzo rinascimentale con gli stucchi? Video? Ma sono cose che si possono vedere alla tivvù o su internet! Non saranno mica opere, no?». Ridevo di nascosto – ma solo per nascondere la mia profonda disperazione – mentre ero a colloquio con un funzionario di un comune sulla cui testa gravava la competenza di uno dei gioielli architettonici della città.
Non nascondo che ebbi una certa difficoltà a proseguire qualsiasi forma di dialogo, tanto più perché alla profonda ignoranza si sommavano la spocchia di chi ha studiato l’arte antica all’università (supponendo che il mondo si sia fermato nel Settecento) e la totale estraneità al dibattito culturale degli ultimi quarant’anni. Decisi allora di far finta di niente, rimuovendo da me ogni benché minimo tentativo di conversione, poiché le barriere che quella persona aveva eretto attorno a sé risultavano impenetrabili anche al più convincente dei missionari adepti all’arte contemporanea. E poi mi fu subito chiaro che non aveva senso cingere d’assedio una città che conteneva solo pietre.
A mente fredda però mi viene male a pensare che una persona come questa, qui come altrove, sia chiamata a decidere su cosa che non conosce, a dare un parere vincolante, a scegliere se un progetto è o meno adatto al luogo e ai programmi culturali di un comune, o di un altro ente territoriale (capita pure ai ministeri: vedi ad esempio l’idiozia di Sgarbi nominato commissario alla Biennale di Venezia). E questo è uno dei problemi più difficili per chi opera in campo culturale: l’inadeguatezza dei decisori, sia politici che tecnici. Che senso ha cioè passare notti in bianco, sbattersi per elaborare un progetto o immaginare una mostra che porti nuove idee, nuovi punti di vista, se chi decide troppo spesso non sa, non sa, non sa?
A dir il vero ogni tanto accade anche di trovare qualche persona competente, cosa che spinge a meravigliarsi, un po’ come quando capita di trovare una persona educata e gentile allo sportello delle poste. Ma è davvero merce rara. Eppure anche l’attuale diabbolico Ministro per la Pubblica Amministrazione continua demagogicamente ad insistere sul controllo dei funzionari statali più che sulla qualità del lavoro svolgono svolto e sui criteri di selezione. Olè.

Pisciate e insulti. Cari Pajetta e Nenni

Nelle pagine di cultura di Repubblica del 27 giugno si può leggere qualche estratto del carteggio tra Nenni e Pajetta. I due politici, l’uno socialista e l’altro comunista, pur nelle tante ruvidezze del confronto (negli anni Cinquanta e Sessanta lo scontro tra le due anime della sinistra è senza esclusione di colpi), si telegrafano di frequente comunicandosi verità, amarezze, reciproche critiche. E’ l’Italia forse un po’ bachettona del dopoguerra, in cui i politici erano però scelti tra le migliori teste che il nostro paese potesse offrire, senza se e senza ma. L’intelligenza, il ricco vocabolario, l’educazione ed il garbo sono la norma, e si vedono anche negli scambi polemici, nel mezzo della lotta politica.
Incredibilmente è un altro mondo – ormai dimenticato – rispetto agli insulti e alle tremende volgarità di pensiero che si sono letti nei mesi scorsi tra i politici intercettati, al mediocre italiano infarcito di testa di cazzo e di stronzo, (figlio di) puttana, coglione e via dicendo. Sembra proprio che non ci siano altre parole da dire, che le persone siano mancanti (cioè deficienti) del lessico necessario per sostenere uno scontro, scuotere o attaccare un avversario.
Viviamo momenti caratterizzati da un’incredibile apoteosi di stupidità, come testimoniato recentemente anche pisciatiella versata addosso a Sgarbi dalla Ripa di Meana. Alla fine davvero non ci resta che chiudere la tivvù e leggere Calvino.

Sgarbiennale Discothèque

Ora mi è chiaro perfettamente. Il Padiglione Italia è una discoteca labirinto. Bianca, senza luci colorate, grande un centinaio di chilometri. E dalla quale non si può uscire. C’è un signore sulla porta, si chiama Vittorio, e non fa selezione all’ingresso. Bisogna solo fare la coda e non indossare le scarpe da ginnastica. Se ci si presenta con tanto di amica erotomane predisposta al meretricio, e magari con ghiandole mammarie elefantiache, si entra anche prima.
Adesso alle persone piace molto questa discoteca, perché c’è il pieno nelle sale, e Mino Reitano e Peppino Di Capri sono finalmente diventati i maître à penser del gusto contemporaneo e finalmente si può ruttare dopo un bicchiere di havana-cola e un walzer zumpapà. Una volta invece c’era gente noiosa e spocchiosa che obbligava ad ascoltare i dischi di Paolo Conte o Battiato in sette ottavi, tempi bulgari comunisti che non si possono ballare se non si era ballerini alla Scala e non si votava pici-ì.
E poi, se la gente non ballava e non sudava, si beveva poco e i gestori della discoteca non erano felici, mentre adesso tutti bevono perché c’è caldo poiché c’è l’effetto bue & asinello che piace anche ai preti. Ora la discoteca è di tutti e ha vinto il popolo. W la democrazia, il popolo trionfa sempre!

Biennale. Artisti, rifiutate il nulla…

Continuo a ricevere richieste di consigli da parte di amici artisti incerti e disperati che sono stati invitati alla Biennale di Venezia all’ultimo minuto. Padiglioni regionali, Arsenale, Padiglioni delle Accademie, le opzioni sono diverse e non sempre chiare. Anzi, c’è chi è stato invitato da parte di regioni in cui non lavora né abita. Altri che, pur avendo declinato, si sono trovati nelle pue provvisorie liste presentate alla stampa.
La situazione è decisamente un ginepraio, un moloch incredibile in cui nemmeno gli organizzatori capiscono più qualcosa. Così al telefono capita che abbiano perfino chiesto all’artista con quale regione preferisse partecipare. Va bene pure la Kamchatka.
Grazie Sgarbi, grazie Bondi. Questa è la merda che noi italiani ci meritiamo.

Gli ennesimi Sgarbi

Come sempre a fare una figura di culo noi italiani ci mettiamo tutto il nostro impegno, tanto più nelle situazioni importanti. E così la soap Sgarbi & il Padiglione Italia ha ormai non solo abbondantemente sorpassato il numero di puntate delle telenovelas sudamericane, ma soprattutto ha frantumato gli zebedei di qualsiasi persona di buon senso che lavori nel sistema dell’arte o nel settore della cultura.
Il ricatto dello storico ferrarese verso il Ministro della Cultura attuale – che pare al momento meno servizievole dello slave Sandro Bondi – ma sopratutto verso tutti noi, “o mi fate diventare soprintendente o mi dimetto da responsabile del Padiglione Italia” è intollerabile in un paese civile, in cui le regole valgono per tutti, anche i prepotenti e gli sbruffoni. Evidentemente però il nostro paese civile non è. E d’altronde in quale altra nazione avrebbe potuto essere credibile come curatore di arte contemporanea un narciso incazzoso che fa i giochini di potere e ricatta i politici?
Allo stato attuale pare di capire che le dimissioni siano state solo minacciate – pratica frequentissima da noi, solo per fare un polverone e guadagnare visibilità – per poi non essere formalizzate nelle sedi competenti. Di certo, qualunque sia l’esito, Sgarbi può solo vergognarsi per la figura che ha fatto. E, mentre il mondo si prepara al meglio per la mostra con più visibilità al mondo, si vergognino anche coloro che sono ancora disposti a sostenerlo, nonostante tutto.
Poveri noi.

Casino Biennale


Casino. Approssimazione. Ma anche disorganizzazione. Non ci sono altri modi per raccontare la situazione per le sezioni del Padiglione Italia che avranno base regionale. Sono stato contattato ormai da una decina di artisti veneti che non sanno cosa fare e nemmeno cosa faranno, poiché ad un mese e mezzo dalla mostra – ricordiamolo: è pur sempre la Biennale di Venezia e non la Sagra del Gnocco – non hanno alcuna informazione in merito.
Che opere devo portare? quanto spazio ho? Che catalogo ci sarà? Chi seguirà la mostra e gli allestimenti? Zero, niente informazioni. L’unica sicurezza è l’ambientazione a Villa Contarini a Piazzola sul Brenta, mentre pare che il catalogo sarà diviso in tre tomi (nord, centro e sud Italia).
Penso che in questa bolgia pensata da Sgarbi convenga disertare, non tanto come gesto politico, ma perché l’arte è un lavoro serio, non un mestiere da cazzari. E poi, a cosa serve avere una riga in più per la Biennale più incasinata del mondo dove non si capisce nemmeno quale sia il progetto? In confronto – per il momento dal punto di vista organizzativo, poi per la qualità si vedrà – quella di Beatrice&Buscaroli era da oscar.

Partecipare alla Biennale? Sì, ma…

Negli ultimi giorni sono stato contattato da ben quattro amici che sono stati invitati a partecipare alla mostra della Biennale di Venezia. Tutti e quattro gli artisti hanno ricevuto da parte di Arthemisia (la società incaricata da Vittorio Sgarbi di organizzare il padiglione italiano) una lettera che non conteneva grandi spiegazioni. Non una riga di concept o delle linee guida del progetto. La domanda invece è chiara: caro artista, ti va di partecipare? A cosa, a quale mostra, non si capisce, ma evidentemente l’idea degli organizzatori è quella di fare una ricognizione, più che una mostra con un criterio curatoriale.
Qualcuno di loro – incerto se aderire, sia per motivi artistici che “politici” – mi ha chiesto un consiglio. Io ho suggerito di fare quello che si sentivano, ma anche di ragionare con dei criteri di corretta visibilità e di allestimento del proprio lavoro: vale accettare se, sorpassato un eventuale rifiuto per motivi ideologici, le opere che si presentano possono stare sufficientemente bene in un contesto sconosciuto. Se possono adattarsi cioè a situazioni differenti, rispetto a quella ipoteticamente migliore, senza perdere la loro funzione o il loro senso (ad esempio una fotografia di medie dimensioni può tendenzialmente avere meno problemi di un’installazione ambientale).
Detto questo, partecipare ad una mostra così pare proprio una lotteria. Non ci resta che sperare con un ricco montepremi, anche se la sensazione che ho è che al massimo sarà un Gratta e Vinci da pochi euro.

Letterina di natale di Bondi agli ex compagni


Per una volta mi esprimerò in rima
per raccontare tutta la mia stima
per il ministro dei Beni Culturali Sandro Bondi,
che, pur poeta, alla cultura taglia i fondi.
Dovete sapere che il sommo di buona mattina
ha deciso di scrivere agli ex amici una letterina,
temendo di essere da questi sfiduciato
per il suo ruolo ed il suo felice operato
(parlar di “operato” par forse eccessivo,
considerato che il suo è incarico elusivo:
d’altronde ci siamo accorti, non è una svista,
che lui è stato il ministro più assenteista.
Ma non è facile coordinare il Pidielle
o star dietro a Berlusca che va a pulzelle).
Fatto sta che sull’edizione odierna del Foglio
Bondi ha perso qual che restava del suo orgoglio
scrivendo agli ex compagni comunistoni
perché in Parlamento non facessero i cattivoni:
“Suvvia, cari amici con falce e martello nel cuore,
continuerete a perdere, a ricevere dolore.
Ma fate almeno la buona azione per natale
e votate la fiducia a me, ministro niente male.
Diversamente, non per me un`onta sarebbe
ma per voi villani che la proporrerebbe”
(scusate le sgrammaticature sopraffini
tutta colpa della riforma Gelmini).
Ma caro ministro, non ti vergogni?
Tu che sulla cultura ci fai i tuoi bisogni?
Tu che hai messo Sgarbi alla Biennale
e parenti con posizione ministeriale?