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Il cielo (e la mostra) sopra Berlino

Ich bin ein Berliner. Lo posso dire anch’io finalmente. Si inaugura infatti sta sera la prima mostra che mi capita di curare nella città del muro. Inutile che dica quanto sia entusiasta della cosa. Berlino per me è un simbolo, un’icona di libertà, di stile alternativo, di città di cultura che ha orecchie e presta attenzione al contemporaneo.
La personale Unexpected Machines di Roberto Pugliese alla Galleria Mario Mazzoli è davvero una bella mostra. Intensa e tagliente come si dovrebbe, supersperimentale e poetica. Sono felice poi che, per una volta non sono io ad andare ad un vernissage berlinese, ma che sia la montagna ad andare da Maometto.

Invito su carta. Ma quanto ci costi?

Oggi la cassetta della posta mi regalava il piacere di ben otto inviti a mostre in gallerie ed istituzioni pubbliche. Il che, evidentemente, fa molto piacere. A differenza di quelli inviati per email (in cui gli aspetti fondamentali sono l’efficienza e la rapidità), gli inviti cartacei hanno un dannato fascino che ancora è inspiegabile, tanto più nell’epoca in cui viviamo, basata sulla telematica, sui mezzi virtuali o inconsistenti. Ma valutiamo l’operazione di invio cartaceo in un momento di tagli disumani alla cultura, il che, una volta di più, fa incazzare.
La spedizione del più grande degli inviti, ad esempio, costa € 1.40 ed è stata fatta dalla Regione Veneto – mi immagino a millecinquecento/duemila persone – come lettera normale (non cioè in modalità di recapito massivo). Il che fa una spesa che oscilla tra 2/3mila. A questi vanno aggiunti i costi di stampa, che è stata fatta in un non certo economico cartoncino.
Gli inviti delle gallerie (eccetto uno a 60 cent) mi sono stati mandati invece con Posta target e costano 31 centesimi, praticamente un inezia a confronto. Se gli inviti della mostra di Finzi fossero stati mandati con Posta target si sarebbero cioè risparmiati circa 1600-2100 euro. Una cifra considerevole, non tanto forse per il budget di questa mostra a Villa Contarini, quanto nel totale di un’amministrazione come la Regione Veneto (provate a chiedere 2mila euro di contributo per una mostra e vedrete cosa vi risponderanno).
Anche valutando la cosa dal punto di vista dell’immagine e del prestigio che si vuol costruire attorno ad un evento, ne vale veramente la pena? Non stiamo buttando all’aria dei quattrini pagando un costo-opportunità troppo elevato?

Vernissage alla parigina

Ho avuto il piacere di curare una mostra a Parigi, appena inaugurata ieri (se ne avete voglia trovate qui il testo ed alcune informazioni sugli artisti). La galleria per cui ho lavorato è situata nel Marais, uno dei quartieri più interessanti e culturalmente attivi della capitale francese, cui è stata data una nuova immagine a partire dalla seconda metà degli anni Novanta, con uno di quelle operazioni che risultano quasi impossibili da noi in Italia.
Urbanistica a parte, ieri tutte le gallerie della zona hanno fatto il vernissage insieme, il che ha portato un gruppo enorme di persone a passare nello spazio. Due/tre volte all’anno infatti l’associazione dei galleristi promuove un’inaugurazione collettiva, con evidenti vantaggi per le gallerie ma anche per collezionisti e per il pubblico. La parola magica è ovviamente condivisione.
Ma la cosa che mi ha stupito di più è stato la grande presenza di un pubblico generico, al di fuori cioè di quello di collezionisti e professionisti del settore (artisti, critici, giornalisti). Un sacco di persone, palesemente non addetti ai lavori, è passata in galleria e ha fatto domande informandosi sulla mostra, sulle opere e sugli artisti: cioè l’arte contemporanea non è la solita riserva indiana per fighetti, ma è popolare, quanto meno nel senso che le persone non la percepiscono distante e autoreferenziale.
Noi invece in Italia “continuiamo così, facciamoci del male”.

I giornalisti stacanovisti (del buffet)

Lo ammetto. Sono tra quelli che, se il cibo ed il vino lo meritano, non si tira indietro dal buffet alle inaugurazioni. Ad esempio conservo ricordi di rinfreschi luculliani al Mart di qualche anno fa con tanto di risotto alle mele renette servito su forme incavate di Parmigiano (pardon, Grana Trentino), carne salada, e perfino grappa invecchiata servita con cioccolato fondente.
E poi ho fatto al buffet conoscenze con persone strepitose: non c’è di meglio che scambiare impressioni su una mostra con un bicchiere in mano, preferibilmente il quinto o il sesto, in modo di essere sciolti. Ricordo poi frotte di persone venire alle inaugurazioni di Villa Manin (quando c’era ancora Bonami) solo per approfittare del tocai e del frico. Che volete farci, noi italiani si magna.
Quelli che non sopporto sono invece i prevaricatori, quelli che non rispettano la fila per prendere prima di te una cucchiaiata di qualsiasi cosa edibile. C’è ad esempio un gruppo di giornalisti che viene da Milano e che trovo puntualmente a tutti i buffet delle mostre del norditalia. Sono degli stacanovisti del piatto. Hanno un’età tra i 50 ed i 70 ed una voracità da cavalletta con il verme solitario, ma soprattutto, hanno sempre una scusa per mangiare e passarti avanti. Mammamia, che spettacolo indegno. C’è da vergognarsi a fare i giornalisti.