Ho avuto il piacere di curare una mostra a Parigi, appena inaugurata ieri (se ne avete voglia trovate qui il testo ed alcune informazioni sugli artisti). La galleria per cui ho lavorato è situata nel Marais, uno dei quartieri più interessanti e culturalmente attivi della capitale francese, cui è stata data una nuova immagine a partire dalla seconda metà degli anni Novanta, con uno di quelle operazioni che risultano quasi impossibili da noi in Italia.
Urbanistica a parte, ieri tutte le gallerie della zona hanno fatto il vernissage insieme, il che ha portato un gruppo enorme di persone a passare nello spazio. Due/tre volte all’anno infatti l’associazione dei galleristi promuove un’inaugurazione collettiva, con evidenti vantaggi per le gallerie ma anche per collezionisti e per il pubblico. La parola magica è ovviamente condivisione.
Ma la cosa che mi ha stupito di più è stato la grande presenza di un pubblico generico, al di fuori cioè di quello di collezionisti e professionisti del settore (artisti, critici, giornalisti). Un sacco di persone, palesemente non addetti ai lavori, è passata in galleria e ha fatto domande informandosi sulla mostra, sulle opere e sugli artisti: cioè l’arte contemporanea non è la solita riserva indiana per fighetti, ma è popolare, quanto meno nel senso che le persone non la percepiscono distante e autoreferenziale.
Noi invece in Italia “continuiamo così, facciamoci del male”.