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Note a pie pagina. E il piacere di leggere?

Ho decine di libri da leggere. Molti, troppi, se considero che molti sono dei saggi o cataloghi che sono avvincenti solo per i contenuti (o molto più spesso per le figure, per parodiare Warhol) e non per la forma. E poi, soprattutto, sono pochi quelli che ti mettono addosso un entusiasmo ed un voglia incredibile di andare avanti. Anzi, a volte il peso incombe ed un plumbeo torpore saggistico costringe a leggere con la calma e la pacatezza che ci si aspetta.
Inevitabilmente dover dimostrare qualcosa spinge gli autori a non volteggiare in area ma ad andare radenti al terreno, col culo basso. Ma dove sta il piacere di chi legge? Se penso solo alle mille ampollose note a pie pagina o a quelle di chiusura mi si inibisce l’erezione mentale per i prossimi anni. Sarà che avverto un’esigenza di scorrevolezza. Sarà che sono un lettore dromofilo [1] e spietato quando mi butto, ma inca(na)gliarmi nelle apoteosi citazioniste degli autori colti mi fa incazzare e poi mi deprime. Ecco sì, l’ho fatto anch’io [2].
C’è solo un autore che ha delle note incredibili. David Foster Wallace. Leggetevi le sue dissertazioni in Considera l’aragosta che fanno volare il lettore. Pindaro a confronto è un fottuto dilettante.


[1] Mi riferivo all’idea di dromologia di Virilio (qui il link).
[2] Mi è venuta l’idea balzana di razzolare male, a dispetto di quanto predicato. Spero almeno non siate corsi a leggere questa nota qui sotto.

Quant’è bella leggerezza

Due kili e seicentocinquanta grammi. Questo il peso del poderoso catalogo a corredo della mostra Giorgione inaugurata settimana scorsa a Castelfranco. Oltre  cinquecento pagine e stampa di buon livello: è quello che comunemente si considera un bel tomo, uno di quelli che in libreria si fa notare, anche a distanza, per il dorso corpulento.
Eppure, nonostante il parterre di storici dell’arte invitati a scriverci (spero cose intelligenti), diventerà il milionesimo postmoderno monumento a Gutemberg, alla carta e al denaro sprecati.
Pensiamoci su: a chi giova stampare un volume simile? Gli addetti ai lavori lo useranno per i saggi, il che rende superfluo l’apparato iconografico; i comuni amanti dell’arte lo troveranno fuori misura e non proprio a portata di portafoglio.
Quindi soldi spesi per nulla. Per l’autostima degli studiosi che hanno preso parte al progetto, per i quali “più grande è, meglio è” (il catalogo). Per i politici che potranno vantare un mattone in più nella propria carriera politica. Per i giornalisti che avranno una preda ulteriore nel carniere che non avranno però mai il tempo di leggere. Per l’editore che qualche quattrino se lo fa di certo.
Che spreco, non era meglio fare un volumetto agile e poi un bel pdf da mettere in chiavetta a spese zero? Siamo un gruppo di romantici spreconi. Eppure la leggerezza dell’editoria digitale è proprio lì dietro l’angolo…