
In un paio di commenti sulla vicenda di Alterazioni Video al ravennate Mar (spesso, come segnalato in un articolo di Christian Caliandro, sono proprio i commenti una delle cose più interessanti), si citava della prassi di alcuni curatori di guardare e giudicare le opere solo dai portfolio degli artisti. Molti curatori – questo il succo – lavorano con artisti dei quali non hanno visto le opere ma solo la loro presentazione, la loro immagine, senza cioè uno degli aspetti più interessanti e centrali quale è la visita in studio.
Fare uno studio visit – è un’opinione del tutto personale – è una delle cose più interessanti ed eccitanti del mestiere. Vedere il luogo e l’ordine/disordine, sentire il sudore, guardare l’approccio al lavoro, la scelta delle dimensioni, degli strumenti, la fisicità o la leggerezza delle modalità di lavoro, sono tutti strumenti di comprensione ineludibili per chiunque voglia capire come pensa e agisce un artista. Ovviamente non per tutti è così, poiché molto spesso capita di incontrare giovani artisti concettuali che hanno più disegni ed idee sul computer che opere.
Se il curatore lavora a distanza (a vicinanza telematica, per dire il vero) a mio avviso prediligerà frequentemente opere che funzionino senza fisicità, per le quali la visione retinica non è così importante, ma – al contrario – la logica ed il pensiero hanno la forza maggiore. Ci sono infatti opere che funzionano per idee ed opere che funzionano se c’è qualcuno che le guarda dal vero, in forma consapevole.
Vuoi vedere che è per questo aspetto di distanza che i pigri curatori italiani snobbano lavori che debbono essere visti (come spesso capita con la pittura) a favore di altri che possono essere capiti e raccontati in forma scritta, di immagine riprodotta, e di idea trasmissibile e raccontabile?
Fare uno studio visit – è un’opinione del tutto personale – è una delle cose più interessanti ed eccitanti del mestiere. Vedere il luogo e l’ordine/disordine, sentire il sudore, guardare l’approccio al lavoro, la scelta delle dimensioni, degli strumenti, la fisicità o la leggerezza delle modalità di lavoro, sono tutti strumenti di comprensione ineludibili per chiunque voglia capire come pensa e agisce un artista. Ovviamente non per tutti è così, poiché molto spesso capita di incontrare giovani artisti concettuali che hanno più disegni ed idee sul computer che opere.
Se il curatore lavora a distanza (a vicinanza telematica, per dire il vero) a mio avviso prediligerà frequentemente opere che funzionino senza fisicità, per le quali la visione retinica non è così importante, ma – al contrario – la logica ed il pensiero hanno la forza maggiore. Ci sono infatti opere che funzionano per idee ed opere che funzionano se c’è qualcuno che le guarda dal vero, in forma consapevole.
Vuoi vedere che è per questo aspetto di distanza che i pigri curatori italiani snobbano lavori che debbono essere visti (come spesso capita con la pittura) a favore di altri che possono essere capiti e raccontati in forma scritta, di immagine riprodotta, e di idea trasmissibile e raccontabile?