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Murakami a Versailles. Dove sta lo scandalo?

In un articolo drastico uscito su Le Monde e ripreso dal Giornale del’Arte, Marc Fumaroli (autore del celebre Lo Stato culturale. Una religione moderna, Adelphi, 1993) critica senza riserve la mostra di Takashi Murakami ospitata nelle sale di Versailles, spiegando come sia l’Italia che la Francia giudichino il patrimonio culturale come di un giacimento da utilizzare secondo le mode e con gusto discutibile, quasi fosse una materia prima. In particolare, secondo l’accademico di Francia, la mostra di Murakami trasforma in Disneyland una delle sedi più conosciute dello stato francese sfalsando completamente l’idea del luogo, le sue finalità e ciò che artisticamente rappresenta. “Perché mettere sullo stesso piano un artista come François Morellet che, invitato al Louvre, studia lo spirito del palazzo e lo abbellisce, e un Koons o un Murakami dei quali ci si vorrebbe far credere che il loro Kitsch, trasferito a Versailles, dialoga con la pompa magna di Le Brun, Le Notre o Lemoyne? Non si tratta forse di fuorviare quello stesso pubblico che lo Stato avrebbe invece il compito di illuminare e istruire?”, scrive Fumaroli, avendo forse un po’ di ragione se si considera che la mostra di Murakami nasce in parte come un format e non come un progetto sviluppato per Versailles.
Ma alla fine Fumaroli dà il peggio di sé, spiegando che “l’arte cosiddetta contemporanea, che si ammanta di uno status completamente inventato per un mercato finanziario internazionale, non ha più niente in comune, né con tutto ciò che fino a oggi è stato definito arte, né con i veri artisti viventi”. Sembra infatti che per il vecchio professore francese l’arte contemporanea sia esclusivamente finanza, speculazione e mercato, non rendendosi conto che – oltre ai soliti fenomeni gagosiani da banca – esistono decine di altri bravi artisti che hanno concetti e linguaggio per dire, fare, sorprendere tanto più in un luogo stratificato dalla storia.
La sua è infatti una lettura superficiale, da chi guarda le aste e non ha studiato i contenuti. Non si accorge Fumaroli che il problema non è l’arte contemporanea in sé quanto il fatto che le istituzioni debbano proporre un programma culturale contemporaneo di livello?
E suvvia, svecchiamo questi luoghi e divertiamoci con Murakami, il quale – piaccia o non piaccia – è un artista e non un produttore di “giocattoli giapponesi”. E quanto meno ci si annoierà di meno in quel museo da letargia, sfarzo ed inutil pompa per la nobiltà annoiata di secoli fa, quale è la residenza della corte francese.

Resca, i Bronzi di Riace e i bonzi del patrimonio

“I Bronzi di Riace non si muovono”. Questa in sintesi la risposta di Simonetta Bonomi,  Soprintendete di Reggio Calabria, alla proposta di Mario Resca di portarli in giro (per il mondo? per l’Europa?) per farne degli strumenti di promozione del nostro territorio. Il Direttore Generale per la Valorizzazione del Patrimonio aveva spiegato come le due opere fossero nel museo “a prendere la polvere”, mentre in realtà sono in restauro, come si può vedere qui (restauro che può essere seguito anche dai visitatori).
Se quella di Resca pare una boutade (la media di visitatori al Museo Archeologico di Reggio dove sono ospitati è negli ultimi anni poco sotto le 130mila persone l’anno, a quanto si legge nel sito dei musei calabresi), è vero però che una gestione più manageriale e meno conservatrice dei musei gioverebbe. “Spesso le opere vengono richieste in prestito solo per fare eventi mediatici senza alcun progetto scientifico”, questo il pensiero dei Soprintendenti. Ma è pure vero che senza spettacolo non si mangia, e che una circuitazione delle opere che non hanno problemi di conservazione gioverebbe a tutti.
L’idea di base su cui ci si scontra è se il patrimonio artistico possa o meno essere utilizzato per generare profitti grazie alle leve di marketing e comunicazione. Io, candidamente, sono favorevolissimo. Il che non vuol dire di portare Raffaello alle sagre, ma pensare che il patrimonio sia una cosa disponibile e non un valore indisponibile e solo da custodire.
Sottrarsi all’aspetto mediatico anziché sfruttarne le potenzialità, nell’arte come in altri settori, è solo nocivo. E infatti la risposta giusta della Soprintendente di Reggio sarebbe dovuta essere: “ma perché non facciamo una mostra, con prestiti importanti da altri musei, a Reggio Calabria, così valorizziamo la collezione e i nostri tesori? Sarei felicissima se il dott.Resca ci desse una mano a trovasse i fondi necessari”.
Ma invece la Bonomi è caduta nella provocazione. Così siamo presi tra gli opposti massimalismi di chi essenzialmente vuole custodire e di chi invece pensa solo al marketing, senza capire che una terza via è possibile (Louvre dove sei?). E ci converrebbe davvero.