
Nel secondo dopoguerra De Chirico aveva infatti con una certa frequenza iniziato a copiare i propri quadri metafisici, ma anche a retrodatare quelli che faceva per poterli vendere come giovanili: quindi da un lato riproponeva la maniera degli anni Dieci e Venti, dall’altro si autofalsificava arrivando perfino a non rendersi più conto lui stesso se l’opera fosse originale o copia. A quel punto il pasticciaccio era fatto.
Ma che credibilità può avere un simile uomo disonesto? Come possiamo tollerare questa pratica intellettualmente truffaldina dedicandogli una mostra con lavori posteriori agli anni Quaranta (seppure con l’accortezza di segnalarne l’erronea datazione furbesca). Ci piace celebrare il famoso, il noto, il vincente, e non sappiamo mandare a fanculo i vecchi tromboni che ci fottono.
La parabola di de Chirico è esattamente la stessa del nostro paese. Che disgusto.