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Marc Augé, la Padania e l’arte concettuale

Vivo in Padania. Padania dovrebbe essere sostanzialmente un espressione geografica, non dissimile da quella che gli antichi Romani chiamavano Gallia Cisalpina. In realtà è ben altro. E’ un invenzione politica, poiché non vi sono che pochi elementi paesaggistici, culturali, linguistici ed antropologici che accomunano tutte le persone che qui abitano (non esiste ad esempio una lingua, e stesso discorso si può dire per le tradizioni o per la cucina). E’ un posto che sta nella terra di Utopia, un luogo immaginario che riempie più le lingue che le idee.
Ma soprattutto la Padania è un nonluogo. Secondo Marc Augé – copio ed incollo da Wikipedia – i nonluoghi “sono spazi in cui milioni di individualità si incrociano senza entrare in relazione, sospinti dal desiderio frenetico di consumare o di accelerare le operazioni quotidiane o come porta di accesso ad un cambiamento, sia reale che simbolico”. I nonluoghi sono prodotti della società “della surmodernità”, incapace di integrare ed assorbire le valenze dei luoghi storici, che vengono invece banalizzati e circoscritti.
La Padania insomma, al massimo può essere il giornale pieno delle amene cazzate dei leader del Carroccio. I nonluoghi, infatti, hanno la prerogativa di “non essere identitari, relazionali e storici, in contrapposizione ai luoghi antropologici”. E qui, dall’ampolla a tutti i riti celtici da sagra della stuipidità, per darcela a bere la storia se la sono dovuti inventare.
Mammia che spiazzamento. E che artisti quella della Lega. Ora ho capito tutto: la Padania è un’opera concettuale. Me l’hanno proprio fatta sotto il naso.