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Artisti, evitate i curatori sputtanati

Ho ricevuto varie osservazioni (e numerose proposte di coinvolgimento) dopo il post di settimana scorsa in cui mi interrogavo sulle ragioni per cui un artista possa rifiutare una mostra personale interamente prodotta da una galleria, tanto più in una città che è una vetrina del contemporaneo come Berlino. Qualche amico artista mi ha spiegato come, a suo avviso, ci si metta pochissimo a fare brutta figura dopo aver partecipato a mostre in gallerie sconosciute o con curatori non di primo livello. Se accetti di lavorare con certa gente devi anche abituarti al pubblico che si porta dietro, non basta che il progetto sia interessante: questo in sintesi il ragionamento. Quindi molta attenzione alle compagnie.
Un’amica in chat mi ha raccontato di aver rifiutato una mostra in uno spazio pubblico del nord Italia perché invece il curatore – ormai navigato – era parecchio sputtanato e troppo politico. “Che ci faccio con gente che ha leccato il didietro a Bondi e ha trasformato in commercio tutto quello che ha toccato?”. Meglio dire no, come hanno fatto lei e molti artisti della scena torinese.
Forse insomma è meglio semplicemente non far comparire il proprio accanto a quello di persone che non si stimano. Ma alla fine non rischia di fare come l’incauto marito che si evira per dispiacere alla moglie?

Rifiutare una mostra

Nelle scorse settimane mi hanno proposto di curare una mostra a Berlino di uno dei giovani artisti italiani internazionalmente più promettenti. Praticamente una mostra personale in uno spazio appena aperto, interamente prodotta dalla galleria. Il luogo è in una posizione centrale della capitale tedesca, ma ovviamente – avendo solo qualche mese alle spalle – non poteva garantire un’ottima visibilità, sebbene l’impegno di tutti i soggetti coinvolti sarebbe stato massimo.
Trovavo il progetto eccitante perché avrebbe permesso una grande libertà d’azione sia all’artista che a me, benché non sarebbero mancate delle zone di rischio, sopratutto sulla sua visibilità. Ma l’ebrezza della libertà di ricerca talvolta è la moneta più appagante, e poi penso che giocandosela bene ogni proposta possa diventare un’opportunità.
Alla fine l’artista ha rifiutato, forse appunto perché lo spazio è troppo giovane e troppo sconosciuto, o il mio nome non è una garanzia di risultato. E’ una scelta che posso capire, dato che una carriera è una lunga corsa a tappe in cui bisogna saper non sbagliare, né affaticarsi o affidarsi a persone sbagliate. E poi è necessario pedalare per chilometri senza perdere di lucidità.
Mi dispiace però che un trentenne non abbia voluto buttarsi come un leone. Molto più spesso che non si dica l’entusiasmo e l’energia, anche in questo mondo complesso e un po’ stronzetto come l’arte contemporanea, pagano.

Una mostra sulla carta

Un recente impegno di lavoro mi ha portato a Haifa, città in cui ho potuto vedere un’interessante mostra organizzata da uno dei musei cittadini esclusivamente con finalità didattiche, per visitatori cioè di età compresa tra sei e sedici anni. La mostra proponeva un’analisi delle possibilità materiche ed espressive della carta, e – seppur con “solo” una trentina di opere della collezione dei musei – risultava di assoluto interesse. I pezzi spaziavano dalle classiche aporie visive di Cornelius Escher al concettuale spinto di Michael Druks, con anche pezzi di particolare pregio tra i quali un Fontana bianco molto ben scelto.
E’ stata una sorpresa: non sono un frequentatore di progetti didattici, ma mai avevo visto nel nostro paese una mostra così sfaccettata e intellettualmente spinta per bambini e teenager. Anzi qui da noi la didattica si fa ex post appiccicando dei laboratori su progetti già esistenti: molto spesso noia su noia. Non sarà che da noi i bambini li trattiamo da rincoglioniti? O li facciamo diventare per la nostra imperizia?