Poca gente. Troppo poca per essere per essere una fiera. Sabato e domenica al MiArt (quanto alla consorella cenerentola Aam) si poteva girare coi pattini. Contrariamente a quanto detto in giro dagli organizzatori, il panorama era desolante. Perché è evidente che le fiere – al di la dei progetti curatoriali o di quello che scrivono i giornali – funzionano se c’è tanta gente, collezionisti, addetti ai lavori.
Il numero delle persone da in qualche maniera il polso della situazione. Più gente c’è più c’è interesse, aspettative. Il collezionista è un animale che va stanato. E la situazione, a Milano, è desolante. A poco servono i proclami di Dipietrantonio, i progetti curatoriali e tutto il resto. Alla fiera in questa città non crede più nessuno, forse neanche le coolissime gallerie che il diretùr della Gamec ha precettato.
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Il Fanculo di Cattelan? Lasciamolo!

Mentre le fazioni pro o contro continuano a belligerare, quel volpone di Politi ci ha messo il carico, proponendo di lasciare la scultura in forma stabile dopo la mostra (leggete qui). A prescindere dal fatto che difficilmente Politi faccia qualcosa senza guadagnarci (mi risulta che abbia svariati pezzi dell’artista veneto e quindi immagino che non gli dispiaccia affatto che si apprezzino di valore) questa volta dice una cosa giusta.
Non nascondo che è imbarazzante essere d’accordo con lui, ma l’idea di lasciare al suo posto quel Fanculo in marmo di Carrara mi trova concorde. Non tanto perché rappresenti “il solo e unico simbolo di contemporaneità, in una città ansimante e affaticata come Milano”, ma soprattutto perché la città meriterebbe di andare a farsi fottere, per la mentalità chiusa e falsamente internazionale, per l’assenza di una politica culturale di livello che non sia fashion e lustrini.
E’ inutile che ce la raccontiamo, Milano, esattamente come l’Italia, è decisamente alla frutta. E quel monumento può rappresentare non tanto la sua rinascita, quanto il suo funerale celebrato da una Cassandra acutissima che in troppi fanno finta di non sentire.
Cattelan, Hitler e Milano mangiata dai vermi

Qualche anno fa era capitato con i bambini impiccati e l’anziano che si era ferito nel tentativo di segare i rami d’albero a cui erano appesi i tre pupazzi. Ora invece l’artista padovano è vittima della censura preventiva dei funzionari che guai a prendersi una responsabilità, dei soliti politici benpensanti, ma anche della comunità ebraica che non vede di buon occhio i manifesti con Him, il piccolo Hitlerino che prega (e francamente non si capisce perché questa, che non è certo un’opera nazista, debba obbligatoriamente essere considerata offensiva o poco rispettosa). E settimana scorsa era stata polemica anche per le altre opere, come hanno ampiamente riferito i giornali.
Ad impressionare è il livello di moralismo e di provincialità che assedia la città e la classe produttiva, di funzionari e politici che una volta era la spina dorsale della “capitale morale” d’Italia. La città non solo ha difficoltà a produrre eventi culturali di spessore, ma non è nemmeno in grado di gestire l’esistente, il già visto, come sono le opere di Cattelan.
Milano è lo specchio fedele della decadenza culturale che ci attanaglia, quella per capirci che è si è generata e riprodotta dagli anni Ottanta in poi nel nostro Paese. Il resto sono solo tentativi di mostrare cose fashion per nascondere i vermi che si sono mangiati tutto il formaggio.
McCarthy a Milano. Fondazione Trussardi fa ancora centro

Certo una mostra così è vecchia di una decina d’anni, si potrà obbiettare. Ma conviene ricordare che a Milano nessuno l’ha fatta prima. E poi questa città ha smesso di avere una politica culturale vent’anni fa, con il vuoto di Tangentopoli. Non c’è che dire, anche questa volta Fondazione Trussardi merita i complimenti.
Depressione MiArt

Le cause vanno ricercate evidentemente nella città, nelle sue dinamiche culturali provincialissime, nella mancanza di piani strategici, nel lavoro di galleristi e critici con la puzza sotto il naso che, anziché schiudersi al mondo, si sono radunati nella solita cricca autoreferenziale. Per dirla alla Pulp Fiction, “tutti in cerchio a farsi i pompini a vicenda”.
Chiudiamolo questa fiera. Non se ne sente proprio il bisogno.
Scommessa MiArt

Ma la vera domanda è: Milano ha davvero bisogno di una fiera? Dov’è il sistema dell’arte milanese in grado di esprimere un evento di mercato di livello? O si rassegnerà ad essere il terzo o quarto evento dell’anno dopo Bologna, Torino e Roma? Anche perché ArtVerona è alla calcagna…