Poca gente. Troppo poca per essere per essere una fiera. Sabato e domenica al MiArt (quanto alla consorella cenerentola Aam) si poteva girare coi pattini. Contrariamente a quanto detto in giro dagli organizzatori, il panorama era desolante. Perché è evidente che le fiere – al di la dei progetti curatoriali o di quello che scrivono i giornali – funzionano se c’è tanta gente, collezionisti, addetti ai lavori.
Il numero delle persone da in qualche maniera il polso della situazione. Più gente c’è più c’è interesse, aspettative. Il collezionista è un animale che va stanato. E la situazione, a Milano, è desolante. A poco servono i proclami di Dipietrantonio, i progetti curatoriali e tutto il resto. Alla fiera in questa città non crede più nessuno, forse neanche le coolissime gallerie che il diretùr della Gamec ha precettato.
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Depressione MiArt

Le cause vanno ricercate evidentemente nella città, nelle sue dinamiche culturali provincialissime, nella mancanza di piani strategici, nel lavoro di galleristi e critici con la puzza sotto il naso che, anziché schiudersi al mondo, si sono radunati nella solita cricca autoreferenziale. Per dirla alla Pulp Fiction, “tutti in cerchio a farsi i pompini a vicenda”.
Chiudiamolo questa fiera. Non se ne sente proprio il bisogno.
Scommessa MiArt

Ma la vera domanda è: Milano ha davvero bisogno di una fiera? Dov’è il sistema dell’arte milanese in grado di esprimere un evento di mercato di livello? O si rassegnerà ad essere il terzo o quarto evento dell’anno dopo Bologna, Torino e Roma? Anche perché ArtVerona è alla calcagna…