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MacroPasticcio


Evviva. La giunta comunale alemanna è riuscita nell’intento di far dimettere il direttore del Macro. Chiariamoci, non è certo solo responsabilità del sindaco, ma pure molti dei casini sono da imputarsi alla gentaglia (assessoretti, amichetti di partito, arrivisti della tornata elettorale, ma anche gente come Umberto Broccoli che si sente legibus solutus) dalla quale esso stesso si è fatto circondare.
Di certo Roma, dopo tanti anni di chiacchiere, ha goduto di un paio d’anni di grande fermento, dovuti al vulcanico direttore – e alle sue truppe – che non hanno esitato di proporre alla città un modello di museo sempre aperto, con continue inaugurazioni (molte delle quali grazie al contributo delle gallerie) e tanta gente che gira. Un luogo cioè ben lontano da quello che effettivamente è un museo di arte contemporanea nel nostro Paese (con la speranza che il nuovo direttore non rinunci a questo approccio).
Alla fine le dimissioni sono dovute alla mancanza di certezze economiche e modelli di governance per l’istituzione. Non si può lavorare in questo modo, e non sarebbe serio – deve aver pensato Barbero, a ragione, dato che maggio ancora non era chiaro il budget che il comune gli riservava. Non ci resta di sperare che qualcosa cambi nella capitale, che arrivi un nuovo direttore pronto ancora a dare la sveglia ai romani, ma anche a tirare per la giacchetta fondazioni, banche & co.

Macro & Maxxi. La sfida è ora

Non c’è che dire. La doppia apertura museale romana Macro/Maxxi ha dimostrato quello che forse si sapeva già: gli italiani, se vogliono, ce la fanno a far qualcosa di buono, anche se molti remano contro.
Non vorrei però che la modalità scelta per la città fosse troppo semplicisticamente ispirata al modello Bilbao: faccio un museo da meraviglia in una città sperando che automaticamente cambino le sorti del luogo. Infatti fortunatamente Roma non è depressa come la Bilbao degli anni Ottanta (essendo in buona sostanza una città dal passato florido ed invadente che vive avvolta dalle ragnatele della propria storia) e nel contempo la città è anche un centro economico e culturale di primo livello; parimenti sono disponibili numerosi capitali di provenienza bancaria e qualche volta pure le istituzioni riescono a lavorare.
Roma non ha cioè immediato bisogno di Macro & Maxxi: queste due istituzioni infatti non appartengono (solo) alla città bensì al paese tutto. Costruito il motore, Roma deve a questo punto mettere a disposizione il combustibile per andare altrove. Per produrre innovazione, cultura del cambiamento, interesse, partecipazione. Dopo i fuochi d’artificio dell’inaugurazione la vera sfida è ora.

L’abbuffata romana

E’ una grande abbuffata quella che si presta ad essere consumata a Roma questa settimana. Dopo anni di attesa aprono il Maxxi, il Macro, e per gli instancabili camminatori non paghi di aver visto i musei c’è pure la fiera Road to Contemporary Art. Ovviamente ci sono pure le gallerie, le conferenze, i brunch, le cene, le feste e tutto il resto. C’è insomma da rimanere storditi.
Per una volta molto del mondo internazionale dell’arte ci guarderà senza ridere preventivamente, solo per capire se noi italiani ce la faremo oppure no. Per capire se sarà insomma il classico fuoco di paglia o davvero un salto in avanti per il sistema dell’arte italiano.
Nessuno lo sa ancora intanto abbuffiamoci, semel in anno. Nel giro di un lustro capiremo se la festa è appena iniziata o se sarà il canto del cigno. Inboccallupo Italia.