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Pisciate e insulti. Cari Pajetta e Nenni

Nelle pagine di cultura di Repubblica del 27 giugno si può leggere qualche estratto del carteggio tra Nenni e Pajetta. I due politici, l’uno socialista e l’altro comunista, pur nelle tante ruvidezze del confronto (negli anni Cinquanta e Sessanta lo scontro tra le due anime della sinistra è senza esclusione di colpi), si telegrafano di frequente comunicandosi verità, amarezze, reciproche critiche. E’ l’Italia forse un po’ bachettona del dopoguerra, in cui i politici erano però scelti tra le migliori teste che il nostro paese potesse offrire, senza se e senza ma. L’intelligenza, il ricco vocabolario, l’educazione ed il garbo sono la norma, e si vedono anche negli scambi polemici, nel mezzo della lotta politica.
Incredibilmente è un altro mondo – ormai dimenticato – rispetto agli insulti e alle tremende volgarità di pensiero che si sono letti nei mesi scorsi tra i politici intercettati, al mediocre italiano infarcito di testa di cazzo e di stronzo, (figlio di) puttana, coglione e via dicendo. Sembra proprio che non ci siano altre parole da dire, che le persone siano mancanti (cioè deficienti) del lessico necessario per sostenere uno scontro, scuotere o attaccare un avversario.
Viviamo momenti caratterizzati da un’incredibile apoteosi di stupidità, come testimoniato recentemente anche pisciatiella versata addosso a Sgarbi dalla Ripa di Meana. Alla fine davvero non ci resta che chiudere la tivvù e leggere Calvino.

La parolaccia non è più un piacere

Ho sempre avuto un buon rapporto con la parolaccia e l’uso di un linguaggio non ortodosso, mentre ho molto meno confidenza con l’insulto, che penso di aver praticato nascostamente solo nei confronti dei troppi insegnanti incapaci ed insensibili che ho avuto nella mia vita di modesto studente.
La parolaccia infatti, se detta raramente ed in un contesto in cui ci si aspetta un approccio formale o serio, può avere un grande effetto espressivo, talvolta deflagrante, se riesce ad attirare l’attenzione di chi legge o ascolta (da Dante in avanti). Ugualmente dicasi per la volgarità linguistica, la quale – per essere efficace – deve essere invece sostenuta da un pensiero raffinato ed inattaccabile.
La volgarità di pensiero è invece la forma più bassa di comunicazione, come ci insegna lo stile politico del nostro Primo Ministro. E’ davvero la classica merda fuori posto che, benché ci si affanni a nascondere a posteriori sotto il tappeto, continua a puzzare e infastidire il naso. La volgarità di pensiero infatti sfocia quasi istantaneamente nell’insulto (“quelli che votano sinistra sono coglioni” oppure “i magistrati sono un cancro”), che è tra i più bassi atti comunicativi. Cosa diversa è invece l’insulto scherzoso, che, soprattutto tra amici, può essere invece una delizia tra raffinati linguisti.
Mi dispiace così che l’uso stupido ed inaccorto di volgarità linguistiche sia stato sdoganato per diventare l’abitudine comunicativa di una classe politica e dei mediocri personaggi della televisione, i quali ahimè hanno abusato di tale strumento espressivo per sostenere il loro vuoto di idee, la loro inaudita volgarità intellettuale. Tra i molti piaceri, Berlusconi ed i suoi sodali, mi hanno tolto anche quello della parolaccia. Cazzo.