Tag: il giornale

Il capodanno di Bondi

Sandrino Bondi, a sentire gli articoli usciti oggi sui quotidiani di destra e sinistra (dal Il Giornale a La Repubblica), starebbe pensando alle dimissioni. Dispiace che abbia aspettato tanto al fatidico momento, dopo – in ordine sparso ed incompleto – svariate brutte figure: i fondi alla cultura tagliati con la motosega; le assunzioni di amici o loro figli o ex mariti delle concubine; i premi ad attricette bulgare maitresse di bordello (non è difficile immaginare da chi frequentati) pagati con i soldi del ministero; il mancato ripristino del fondo del Fus ai livelli dello scorso anno come pubblicamente promesso, mentre, checché se ne dica, dei crolli pompeiani – poverino lui – non ha responsabilità diretta. Spero insomma che, per tutti questi motivi, la sua scelta sia imminente ed ir-re-vo-ca-bi-le.
Anche perché, nel caso in cui avesse invece esito positivo la mozione di sfiducia che si troverebbe in parlamento a gennaio, a quel punto la sua posizione potrebbe mettere pure in difficoltà l’esecutivo, che già di suo boccheggia. Suvvia caro Ministro, si spicci, che poi il lavoro non gli manca come coordinatore del Pidielle.
E poi c’è San Silvestro. Vuol mettere il piacere di trovarsi senza patemi il 31 sera a fare a gara di rutti a casa Bossi o distrarsi con un po’ di ars palpandi cum diciottenibus ad Arcore? La prego, ci dia motivi per attendere svegli l’anno nuovo e magari sparare qualche fuoco d’artificio. Sarebbe il primo bengala che compro in tutta la mia vita.

Gli scatarri di Beatrice sull’Arte Povera

È da un po’ che Luca Beatrice se la prende con i critici più bravi di lui, per questo o quel motivo, purché siano di sinistra (d’altronde deve pure saldare i debiti intellettuali con Bondi che l’ha chiamato alla Biennale, no?). Uno dei suoi bersagli preferiti è Germano Celant, contro cui ha scritto spesso, recentemente anche su il Giornale. In sostanza, spiega Beatrice, gli artisti dell’Arte Povera ed il critico che ha teorizzato il movimento agiscono come una vera e propria lobby che “ha costituito una rete invalicabile di protezioni che nessuno è in grado di scalfire […] e ha goduto della connivenza politica grazie all’abilità del curatore sia di rispolverare quei termini populisti che un tempo solleticavano i radical chic, sia quei capitalisti così disprezzati ma che hanno permesso all’Arte Povera di fare il bello e il cattivo tempo”. La tesi è affascinante e non è priva a tratti di verosimiglianza, dato che Celant  & co. appartengono in qualche modo ad una casta – su questo ha ragione -, ma Beatrice tace il fatto che la posizione di prestigio dei poveristi è maturata sul campo e con la qualità dei lavori e della critica, e non è certo frutto della solita cricca di furbetti di sinistra. Altrimenti, come lui stesso ammette, come sarebbe possibile che “il sistema globale concordi nel ritenerla l’unica proposta italiana internazionalmente valida dopo il Futurismo”? (E comunque, caro Luca, ogni tanto confronta un testo scritto da Celant con uno magari di quelli che fai te, ok?)
Beatrice poi sbanda palesemente e paurosamente arrivando a dire che “l’Arte Povera ha impedito all’arte italiana di crescere producendo una serie di cloni fuori tempo che non ha alcuna possibilità di successo”, e che la sua supremazia “ha cancellato qualsiasi altro linguaggio e forma”. Le affermazioni sono palesemente disoneste, ma, suppongo, devono evidentemente dischiudere le porte di qualche ministero o i portoni di qualche assessorato (magari in Piemonte, se l’attuale giunta non fosse confermata).
Dispiace invece che rimanga affondato in questo accumulo di fesserie un’osservazione importante in merito al grande progetto multimuseale (e multimilionario) dell’anno prossimo dedicato all’arte povera. Era davvero necessario? Ci sono istanze critiche, estetiche, filosofiche sul movimento che hanno necessità di essere ancora eviscerate? E poi, in fin dei conti, gli artisti che appartengono al movimento non godono comunque di una prestigiosa copertura espositiva nel nostro Paese? Non era meglio pensare a qualcosa di nuovo per questa Italia sempre più vecchia ed intellettualmente sempre più puttana?