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De Chirico e la parabola dell’italiano disonesto

Non riesco a capire perché un’istituzione sostanzialmente seria, come il romano Palazzo delle Esposizioni a Roma, perda tempo ad ospitare una retrospettiva (a cura di Bonito Oliva), su Giorgio De Chirico con lavori che, pur autografi per mano, sono moralmente e concettualmente falsi. La natura secondo de Chirico – il titolo a dir il vero è spuntato fin quasi a mettere d’imbarazzo – è una mostra su un artista che, dopo essere stato un vero genio della pittura negli anni giovanili, è riuscito nella maturità a disonorare il frutto della propria ricerca.
Nel secondo dopoguerra De Chirico aveva infatti con una certa frequenza iniziato a copiare i propri quadri metafisici, ma anche a retrodatare quelli che faceva per poterli vendere come giovanili: quindi da un lato riproponeva la maniera degli anni Dieci e Venti, dall’altro si autofalsificava arrivando perfino a non rendersi più conto lui stesso se l’opera fosse originale o copia. A quel punto il pasticciaccio era fatto.
Ma che credibilità può avere un simile uomo disonesto? Come possiamo tollerare questa pratica intellettualmente truffaldina dedicandogli una mostra con lavori posteriori agli anni Quaranta (seppure con l’accortezza di segnalarne l’erronea datazione furbesca). Ci piace celebrare il famoso, il noto, il vincente, e non sappiamo mandare a fanculo i vecchi tromboni che ci fottono.
La parabola di de Chirico è esattamente la stessa del nostro paese. Che disgusto.