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MacroPasticcio


Evviva. La giunta comunale alemanna è riuscita nell’intento di far dimettere il direttore del Macro. Chiariamoci, non è certo solo responsabilità del sindaco, ma pure molti dei casini sono da imputarsi alla gentaglia (assessoretti, amichetti di partito, arrivisti della tornata elettorale, ma anche gente come Umberto Broccoli che si sente legibus solutus) dalla quale esso stesso si è fatto circondare.
Di certo Roma, dopo tanti anni di chiacchiere, ha goduto di un paio d’anni di grande fermento, dovuti al vulcanico direttore – e alle sue truppe – che non hanno esitato di proporre alla città un modello di museo sempre aperto, con continue inaugurazioni (molte delle quali grazie al contributo delle gallerie) e tanta gente che gira. Un luogo cioè ben lontano da quello che effettivamente è un museo di arte contemporanea nel nostro Paese (con la speranza che il nuovo direttore non rinunci a questo approccio).
Alla fine le dimissioni sono dovute alla mancanza di certezze economiche e modelli di governance per l’istituzione. Non si può lavorare in questo modo, e non sarebbe serio – deve aver pensato Barbero, a ragione, dato che maggio ancora non era chiaro il budget che il comune gli riservava. Non ci resta di sperare che qualcosa cambi nella capitale, che arrivi un nuovo direttore pronto ancora a dare la sveglia ai romani, ma anche a tirare per la giacchetta fondazioni, banche & co.

L’Ara Pacis con auto, Cranach su internet

La crisi economica morde le istituzioni culturali non solo qui da noi, ma in tutta Europa. Ma reagire è possibile: l’unica vera sconfitta di fronte alle difficoltà è l’immobilismo (condizione esasperante che sappiamo caratteristica dell’Italia).
E così mentre, malamente, da noi un soprintendente come Umberto Broccoli affitta la teca dell’Ara Pacis ad un (amico) costruttore di automobili elettriche – causando reazioni a catena dal sindaco della capitale Alemanno all’assessore Croppi che fingono di non sapere – i cugini transalpini ci danno l’ennesima lezione di come sia possibile far fronte alle necessità economiche con una modalità trasparente e che ha il vantaggio di responsabilizzare i cittadini.
La direzione del Louvre infatti, che stava trattando l’acquisto da un privato di un olio di Lucas Cranach il Giovane che rappresenta le Tre Grazie, avendo a disposizione solo 3 dei 4 milioni necessari per l’opera ha aperto una sottoscrizione pubblica con un sito internet che, in poco più di un mese, ha permesso di raccogliere i quattrini che mancavano. Numerosi le adesioni, con cifre ovviamente molto differenti e secondo le tasche, ma circa un quarto dei sottoscrittori ha offerto 50€, come ha anticipato Le Monde.
Ricetta semplice, economicamente democratica perché permette di contribuire in base alla propria condizione, moderna perché usa uno strumento come internet che, una volta in più, si dimostra in grado di sviluppare dinamiche partecipative di grande importanza.
Chapeau. Ci proviamo anche noi?

Roma, il Cupolone e la città in largo

In una recente dichiarazione, il sindaco di Roma Gianni Alemanno ha suggerito come costruire “in alto”, oltre quel vincolo ideale posto dalla cupola di San Pietro, possa essere una nuova strada per evitare che vengano deturpate altre zone periferiche della capitale. Costruire verticalmente – questo è il concetto – può arginare il proliferare orizzontale della città.
Oh bene, finalmente un’idea! A mio avviso però Alemanno non centra la questione, dato che il problema non è tanto come costruire, ma che idea di ha della città. Pensare a periferie con palazzi alti equivale infatti a costruire periferie in largo se non si cambia la modalità monofunzionale per cui lavoro, servizi e vita sociale avvengono in centro, mentre la casa è altrove. Bisogna mischiare le cose, rendere la città viva ovunque e smetterla col costruire al di fuori del centro gli ennesimi quartieri dormitorio che arricchiscono i palazzinari e producono bruttezza!