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Quirino Principe e la difesa della cultura

In occasione del festival Comodamente ho avuto il piacere di conoscere e scambiare qualche parola con Quirino Principe, che conoscevo come un dei maggiori critici musicali italiani, solo da lettore, per il suo meraviglioso libro su Mahler e per gli articoli sul Domenicale del Sole.
A margine di un dibattito sulla musica (in cui ha spiegato che la polarità classica/leggera con cui siamo soliti classificare i brani va invece ricondotta a musica forte/debole, in base alla consistenza del pensiero che le ha prodotte), abbiamo discusso dello stato della cultura in Italia – davvero disarmante – e della necessità di porre un argine a quella che potremmo chiamare senza remore cultura bassa. La cultura bassa non è altro che chiacchiere e marketing serviti in maniera furba e al passo coi tempi per sembrare cultura. Si tratta cioè di una psuedocultura da intrattenimento costante, se non proprio di una controcultura pensata per distrarre le persone dalle attività di pensiero, visto il posto smisurato che occupa nel nostro paese (la “p” è minuscola per scelta).
I responsabili? La P2, la Chiesa, i politici di ogni parte e gli intellettuali minchioni della sinistra che non hanno quasi mai combattuto per fare della cultura un fatto popolare. Sono rimasto letteralmente impressionato dalla coincidenza della diagnosi di Principe con la mia, ma anche dal guizzo luciferino con cui mi ha consigliato di “spargere veleno” nei miei pensieri, nelle mie riflessioni, nelle mie parole. La battaglia, forse, non è ancora persa del tutto.

Italiani brava gente

“La libertà dei cittadini è del tutto impossibile per la semplice ragione che le persone [in Italia] che hanno i necessari requisiti morali e intellettuali sono poche”. Ditemi che non è vero?
Questo è quello che scrive Maurizio Viroli in La libertà dei servi, uscito per Laterza. Ne parla Andrea Romano sulllo scorso Domenicale (trovate il pezzo qui), e, come spesso fanno gli intellettuali, sottostima la portata di Berlusconi spiegando che il Nano malefico ha realizzato ben poco del proprio progetto politico poiché “l’impressione che si ricava in prospettiva storica, guardando ai quindicennio del potere berlusconiano, è che il Cavaliere sia riuscito a far ben poco di quello che aveva in mente. Sia che nella testa del Cavaliere versione 1994 vi fosse un programma orgogliosamente liberale e liberista sia che si trattasse invece di un piano teso a conculcare le nostre libertà civili, il berlusconismo si avvia ad essere ricordato soprattutto come una lunga parentesi di declino nazionale sulla quale molto più dell’onnipotenza ha pesato l’impotenza della politica”.
Al contrario di Romano penso che invece politicamente qualcosa sia cambiato, più sul piano delle consuetudini, delle prassi. Una per tutti il continuo stillicidio di leggi ad personam. Se fino alla Prima Republica prima infatti si corrompevano i giudici per non essere indagati, ora si lavora sulle leggi per farla franca e togliere le ipotesi di reato.
E poi, soprattuto, il degrado morale. Per lo più ostentato. Mi sento in mezzo a gente onesta che, se potesse, delinquerebbe esattamente come fa la casta. La cultura dell’onestà di matrice cattolica e marxista è stata completamente rasa al suolo. Ora, quel che resta della classe più povera sogna di fottere tutti come chi sta ai vertici.