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Pittura, brutta figlia di p.

Pregiudizi di ogni tipo sono quelli che molta della critica progressista e à la page del nostro paese ha nei confronti della pittura. La cosa si vede, oltre che nelle mostre in molti negli spazi pubblici, dalla costante assenza del medium nelle gallerie considerate portatrici della ricerca più innovativa, di quelle più ambite e snob.
Non so perché, ma sembra che la pittura sia una pratica da sfigati che appartengono ad un’altra epoca, dei pezzi di antiquario postmoderno (anche io, nel mio piccolo, quando mi sono trovato a curare mostre con pittori ho ricevuto bonari e sarcastici apprezzamenti da colleghi o da altri artisti). E inoltre, se curiosamente la pittura degli artisti italiani è snobbata, capita invece di vedere come gli stessi critici guardino con occhio meno critico pittori inglesi o tedeschi: d’altronde si sa, noi siamo esterofili.
Fa specie così vedere molta della critica e del mondo dell’arte che non sostiene affatto la pittura radunati ad un tavola a discuterne al Docva a Milano (ecco la segnalazione dell’evento). L’idea che me ne sono fatto – ma probabilmente sbaglierò – è che  quelle persone tenteranno di fare l’autopsia di un morto che hanno contribuito ad uccidere, spiegando come in realtà non sia loro responsabilità. Ovviamente non sarebbero mancate persone più adeguate, ma il mondo dei figaccioni internescional è terribilmente autoreferenziale.
Il problema è che sono troppo pochi ad occuparsi di pittura di valore in Italia. Con il risultato di lasciare il campo libero a dei furbacchioni come Luca Beatrice o degli incompetenti di contemporaneo come Sgarbi. Siamo messi davvero bene.