Poca gente. Troppo poca per essere per essere una fiera. Sabato e domenica al MiArt (quanto alla consorella cenerentola Aam) si poteva girare coi pattini. Contrariamente a quanto detto in giro dagli organizzatori, il panorama era desolante. Perché è evidente che le fiere – al di la dei progetti curatoriali o di quello che scrivono i giornali – funzionano se c’è tanta gente, collezionisti, addetti ai lavori.
Il numero delle persone da in qualche maniera il polso della situazione. Più gente c’è più c’è interesse, aspettative. Il collezionista è un animale che va stanato. E la situazione, a Milano, è desolante. A poco servono i proclami di Dipietrantonio, i progetti curatoriali e tutto il resto. Alla fiera in questa città non crede più nessuno, forse neanche le coolissime gallerie che il diretùr della Gamec ha precettato.
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Panza di Biumo non resti un caso isolato
Mi è molto dispiaciuto che un paio di giorni fa Giuseppe Panza di Biumo sia venuto a mancare. Lui per me rappresenta un modello prestigioso di intellettuale: è il collezionista che ha capito come, grazie alle sue scelte e al suo gusto, sia possibile intervenire sulla realtà. Chiariamocelo: Panza è una persona con un patrimonio cospicuo e che gode di molte agiatezze sconosciute ai più del suo tempo. Ma la sua azione non è un fatto di ricchezza (benché ricchezza sia necessaria), quanto di rinnovamento culturale e, parallelamente, di allargamento e democratizzazione dell’arte.
Negli anni Sessanta all’Italia – paese in cui molti sono attardati a celebrare i fasti del proprio passato – Panza di Biumo propone invece l’arte del Nuovo Mondo, che parla con alfabeti che non puzzano di accademia o di bella pittura. Ha contatti con i più importanti artisti concettuali e minimalisti, e con i direttori di museo, grazie ai quali decide di lasciare parti della sua enorme collezioni ovunque (consiglio a proposito di leggere le sue parole nei due libri di Jaca Book Ricordi di un collezionista e L’arte degli anni ’50, ’60, ’70). Negli anni successivi apre la sua dimora al pubblico, non smettendo mai di sostenere le idee ed i valori estetici degli artisti amati.
Il suo ruolo è stato nel complesso ibrido: un po’ collezionista, un po’ mecenate. Di sicuro “popolare” nel senso Gramsciano del termine, il che lo fa essere un unicum nel panorama italiano. Tanto di cappello, spero siano in molti ad imitarlo.