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Il cielo (e la mostra) sopra Berlino

Ich bin ein Berliner. Lo posso dire anch’io finalmente. Si inaugura infatti sta sera la prima mostra che mi capita di curare nella città del muro. Inutile che dica quanto sia entusiasta della cosa. Berlino per me è un simbolo, un’icona di libertà, di stile alternativo, di città di cultura che ha orecchie e presta attenzione al contemporaneo.
La personale Unexpected Machines di Roberto Pugliese alla Galleria Mario Mazzoli è davvero una bella mostra. Intensa e tagliente come si dovrebbe, supersperimentale e poetica. Sono felice poi che, per una volta non sono io ad andare ad un vernissage berlinese, ma che sia la montagna ad andare da Maometto.

Ho fatto ridere Gilbert and George


Lo confesso, come buffone me la cavo bene, anche nelle situazioni più formali ed inaspettate. Ma deve essere evidentemente la mia natura di guitto parlatore – per altro continuamente allenata – che ho ereditato per via famigliare dalle mie amate nonne.
Qualche settimana fa mi è capitato di essere a Berlino, presso la Galleria Arndt, in occasione della vernice di The Urethra Postcad Art, mostra che raccoglie tutta le serie di cartoline postali del duo britannico. La situazione era un po’ formale, con un pubblico non proprio da squatter, come spesso capita di vedere nella capitale tedesca. In occasione dell’antologica è stato pubblicato un catalogo corposo (a dire il vero un tomo noiosissimo che consiglio solo a chi voglia sfoggiarne il dorso sullo scaffale della libreria) e i due artisti si sono prestati al rito del book signing, mentre i camerieri distribuivano sandwich con cetriolo e salsine british.
Ho approfittato per fare delle foto e poi ho stretto loro le mani. In realtà non si aspettavano di essere toccati e ho avuto la sensazione che la cosa li mettesse un po’ in imbarazzo. Ma oltre alle frasi di rito non sono riuscito a trattenere la battuta. “You were the first singing sculpture years ago, now you’re the first signing sculpture!”.
Non so se sono stato il centesimo stupido a fare la battuta (probabile) oppure il primo che si è permesso. Fatto sta che hanno riso di gusto. Che faccia curriculum?

Artisti, evitate i curatori sputtanati

Ho ricevuto varie osservazioni (e numerose proposte di coinvolgimento) dopo il post di settimana scorsa in cui mi interrogavo sulle ragioni per cui un artista possa rifiutare una mostra personale interamente prodotta da una galleria, tanto più in una città che è una vetrina del contemporaneo come Berlino. Qualche amico artista mi ha spiegato come, a suo avviso, ci si metta pochissimo a fare brutta figura dopo aver partecipato a mostre in gallerie sconosciute o con curatori non di primo livello. Se accetti di lavorare con certa gente devi anche abituarti al pubblico che si porta dietro, non basta che il progetto sia interessante: questo in sintesi il ragionamento. Quindi molta attenzione alle compagnie.
Un’amica in chat mi ha raccontato di aver rifiutato una mostra in uno spazio pubblico del nord Italia perché invece il curatore – ormai navigato – era parecchio sputtanato e troppo politico. “Che ci faccio con gente che ha leccato il didietro a Bondi e ha trasformato in commercio tutto quello che ha toccato?”. Meglio dire no, come hanno fatto lei e molti artisti della scena torinese.
Forse insomma è meglio semplicemente non far comparire il proprio accanto a quello di persone che non si stimano. Ma alla fine non rischia di fare come l’incauto marito che si evira per dispiacere alla moglie?

Rifiutare una mostra

Nelle scorse settimane mi hanno proposto di curare una mostra a Berlino di uno dei giovani artisti italiani internazionalmente più promettenti. Praticamente una mostra personale in uno spazio appena aperto, interamente prodotta dalla galleria. Il luogo è in una posizione centrale della capitale tedesca, ma ovviamente – avendo solo qualche mese alle spalle – non poteva garantire un’ottima visibilità, sebbene l’impegno di tutti i soggetti coinvolti sarebbe stato massimo.
Trovavo il progetto eccitante perché avrebbe permesso una grande libertà d’azione sia all’artista che a me, benché non sarebbero mancate delle zone di rischio, sopratutto sulla sua visibilità. Ma l’ebrezza della libertà di ricerca talvolta è la moneta più appagante, e poi penso che giocandosela bene ogni proposta possa diventare un’opportunità.
Alla fine l’artista ha rifiutato, forse appunto perché lo spazio è troppo giovane e troppo sconosciuto, o il mio nome non è una garanzia di risultato. E’ una scelta che posso capire, dato che una carriera è una lunga corsa a tappe in cui bisogna saper non sbagliare, né affaticarsi o affidarsi a persone sbagliate. E poi è necessario pedalare per chilometri senza perdere di lucidità.
Mi dispiace però che un trentenne non abbia voluto buttarsi come un leone. Molto più spesso che non si dica l’entusiasmo e l’energia, anche in questo mondo complesso e un po’ stronzetto come l’arte contemporanea, pagano.