Categoria: politica

Roma, il Cupolone e la città in largo

In una recente dichiarazione, il sindaco di Roma Gianni Alemanno ha suggerito come costruire “in alto”, oltre quel vincolo ideale posto dalla cupola di San Pietro, possa essere una nuova strada per evitare che vengano deturpate altre zone periferiche della capitale. Costruire verticalmente – questo è il concetto – può arginare il proliferare orizzontale della città.
Oh bene, finalmente un’idea! A mio avviso però Alemanno non centra la questione, dato che il problema non è tanto come costruire, ma che idea di ha della città. Pensare a periferie con palazzi alti equivale infatti a costruire periferie in largo se non si cambia la modalità monofunzionale per cui lavoro, servizi e vita sociale avvengono in centro, mentre la casa è altrove. Bisogna mischiare le cose, rendere la città viva ovunque e smetterla col costruire al di fuori del centro gli ennesimi quartieri dormitorio che arricchiscono i palazzinari e producono bruttezza!

Macro & Maxxi. La sfida è ora

Non c’è che dire. La doppia apertura museale romana Macro/Maxxi ha dimostrato quello che forse si sapeva già: gli italiani, se vogliono, ce la fanno a far qualcosa di buono, anche se molti remano contro.
Non vorrei però che la modalità scelta per la città fosse troppo semplicisticamente ispirata al modello Bilbao: faccio un museo da meraviglia in una città sperando che automaticamente cambino le sorti del luogo. Infatti fortunatamente Roma non è depressa come la Bilbao degli anni Ottanta (essendo in buona sostanza una città dal passato florido ed invadente che vive avvolta dalle ragnatele della propria storia) e nel contempo la città è anche un centro economico e culturale di primo livello; parimenti sono disponibili numerosi capitali di provenienza bancaria e qualche volta pure le istituzioni riescono a lavorare.
Roma non ha cioè immediato bisogno di Macro & Maxxi: queste due istituzioni infatti non appartengono (solo) alla città bensì al paese tutto. Costruito il motore, Roma deve a questo punto mettere a disposizione il combustibile per andare altrove. Per produrre innovazione, cultura del cambiamento, interesse, partecipazione. Dopo i fuochi d’artificio dell’inaugurazione la vera sfida è ora.

Sgarbi soprintendente a Venezia? Per Bondi è sì

La prima cosa che ho pensato è che al peggio non ci sia mai fine. La seconda che il posto più appropriato per Bondi sia un convento lontano dalle cose mondane, dato che quelle poche volte che va al suo ufficio in via del Collegio Romano – è il ministro più assenteista: Brunetta dove sei? – commette cappelle clamorose. Caro ministro, la prego, stia lontano dal Mibac e si dedichi piuttosto a seguire quel sentiero illustre tracciato da Francesco Petrarca: scriva poesie, non importa se saranno dedicate a sua altezza il re dei nani; sarà sempre il male minore.
Contrariamente infatti al primo nome uscito di Fabrizio Magani, già responsabile della Soprintendenza di Verona, il ministro ha tirato fuori dal cilindro il nome di Vittorio Sgarbi. Proprio lui che sarà responsabile dell’italico padiglione alla prossima Biennale. Proprio lui che tutto sa di arte da Fidia a Cattelan. Proprio lui che è stato condannato nel 1996, con sentenza definitiva del Pretore di Venezia, a 6 mesi e 10 giorni di reclusione per falso e truffa aggravata e continuata ai danni dello Stato (era dipendente ministeriale proprio nella città lagunare).
Evidentemente per Bondi quel curriculum da uomo disonesto è adatto per il ruolo. Che ministro per bene.

Il Pompiere della Sera ed il bavaglio(lo)

Dicono che Il Corriere della Sera sia il più importante quotidiano del nostro paese. Al di là del fatto che usare la parola paese per l’Italia pare esagerata, il quotidiano Rcs non perde invece l’occasione per dimostrarsi l’organo della cattiva borghesia italiana. Quella insulsamente conservatrice e che malpensa, poiché difendere i propri interessi vale ben di più di amministrare e mettere in piedi una nazione, di esserne cioè quella che pomposamente una volta si diceva “classe dirigente”.
Che dire ad esempio del pezzo dell’altro ieri di Ostellino su l’insostenibile leggerezza dello stato sociale, prontamente confermato nella tesi dalla pen(n)a puntuta di Panebianco? O della posizione prona alla Maria Goretti (ben più dirette le prese di posizione della Stampa o di Repubblica) in merito al bavaglio che il Parlamento sta mettendo alla stampa?
Massì, non rompiamoci le palle a dare la caccia agli inquisiti e a fare i reporter d’assalto, deve pensare De Bortoli. Siamo il quotidiano più letto, abbiamo amici importanti tra i grandi che lombardi che contano e consiglieri d’amministrazione che non vogliono casini. Per piacere stiamocene seduti a pranzare con il sushi e bollicine della Franciacorta. E per l’amor di dio non si racconti che l’aria è ammorbata dei peti di una classe politica vergognosa. E per rispetto del bon ton, teniamoci stretto il bavaglio(lo).
Mi viene il vomito.

Minoli il simpatico confermato da Cota a Rivoli

Giovanni Minoli è una volpe e ha evidentemente delle capacità tattiche non comuni. Doti che gli hanno permesso, tra l’altro, di restare in Rai per quasi quarat’anni, nonostante i tanti giri di walzer alla testa di Viale Mazzini.
Giusto ad inizio settimana erano state rese note le sue dimissioni dal cda del Castello di Rivoli, essendo cambiata la maggioranza alla Regione Piemonte: con una correttezza assolutamente inedita nel nostro Paese – come avevamo segnalato – aveva consegnato il suo mandato nelle mani di Cota. Cota, apprezzato il gesto ha però confermato la fiducia a Minoli, esprimendo “simpatia” nei confronti del direttore di Rai Educational.
Non so che valore possa avere la simpatia dal punto di vista politico e delle competenze dirigenziali richieste per un museo, ma devo dire che, dopo aver visto ieri Fini e Berlusconi incornarsi come due camosci in calore in un tesissimo tête-à-tête, ogni tanto uno spruzzo di simpatia non guasta.

Le dimissioni di Minoli e lo spoil system

To the victor belong the spoils, il bottino va al vincitore. Questa frase, pronunciata da un senatore americano ad inizio Ottocento viene considerata come la prima rivendicazione della pratica politica dello spoil system, con cui “le forze al governo distribuiscono a propri affiliati e simpatizzanti cariche istituzionali, la titolarità di uffici pubblici e posizioni di potere”, come spiega Wikipedia. Si tratta cioè di un meccanismo per cui i grandi dirigenti, dopo la vittoria alle elezioni, vengono rimossi e sostituiti con altri del proprio schieramento: una prassi spartitoria che in paesi come gli Stati Uniti è fatta alla luce del sole, mentre da noi è mascherata con la solita italica capacità di nascondersi dietro un dito. Gli effetti deleteri li vediamo ovunque, anche perché, contrariamente a quanto capita in altri paesi per bene, gli italiani non affidano le cariche a raccomandati bensì ad irracomandabili (qui da noi il merit system è un concetto inarrivabile).
Fa specie così vedere – in un paese in cui le dimissioni si minacciano ma non si danno – che ci sono persone come Giovanni Minoli che preventivamente lasciano l’incarico (la presidenza di Rivoli), intuendo come i nuovi amministratori non li metteranno in condizione di lavorare. Era già capitato con il veltronissimo Danilo Eccher al Macro, che però in qual caso stava puntando diretto su Torino e Trento.
E comunque ad entrambi, per un volta in Italia, chapeau.

Auguri Gillo, uomo libero!

Ho avuto la fortuna di conoscere Gillo Dorfles grazie agli amici di Trieste Contemporanea. In maniera particolare mi è capitato di pranzare con lui un paio di volte, una delle quali – in occasione del festival Comodamentetête à tête, in compagnia di una cara amica. In quell’occasione abbiamo parlato di politica e libertà di stampa: “C’è poca libertà nel nostro Paese”, era quello che cercavo di sostenere io, mentre lui candidamente mi ha spiegato che in realtà il vero problema è che non ci sia più, poiché qualcuno c’è l’ha scippata, seppur dolcemente. “Pochi si sono accorti che sono stati derubati, anzi le direbbero di essere più liberi di trent’anni fa, dato che ci hanno ormai convinti che il campo di tutte le nostre disponibilità sia ampiamente cresciuto. La libertà di stampa che abbiamo noi, confrontata con altri paesi, è perfino imbarazzante”.
Non so se avrò ancora la fortuna di conversare con quest’uomo nato proprio centro anni fa quando a Trieste c’era ancora l’Impero Asburgico. Ma queste parole per me saranno per me indelebili. Tanti auguri Gillo, per il suo secolo di vita all’insegna dell’anticonformismo.

Roberto Cota ad Artissima

Non vedo l’ora di andare alla prossima conferenza stampa di Artissima a Torino per vedere Roberto Cota parlare di arte. Magari non si farà nemmeno vedere, ma lo vedrei proprio bene in mezzo al pubblico fighetto dell’arte, lui che è una verace e schietta camicia verde con belle amicizie artistiche come il concettuale Calderoli (il geniale ma pentito uomo della leggelettoraleporcata, possessore di un maiale dalla facile diuresi nelle vicinanze di moschee), il situazionista principe dei celoduristi (beato lui) Bossi I, ma anche il fu smilzo padano e il posthuman Borghezio (filosofo dal raro e raffinato eloquio).
Se nelle parole dell’ex governatrice Bresso Artissima stava diventando sempre più un’occasione culturale con taglio meno elitario, simile ad un festival, non vedo l’ora che Cota proponga di trasformarla in Bagnacaudissima.
Ho i brividi.