Categoria: cultura

Abbado+Mahler=Beuys

“Rock and Roll Stops the Traffic” scriveva con lo spray – ai tempi di Rattle and Hum – Bono degli U2. Ma che vadano a farsi fottere lui e tutta la gracchiante mitologia rockettara a buon mercato. Molto meglio Abbado e Mahler. Che qualcosa di buono, in una città (tra l’altro proprio Milano), lo fanno veramente.Il grande direttore d’orchestra ha infatti chiesto ed ottenuto, come suo cachet per i concerti con l’Orchestra della Scala, che l’amministrazione comunale meneghina piantasse degli alberi nel centro della città. Ne ha chiesti novantamila (cifra di dimensioni bibliche), per il momento saranno solo un centinaio, secondo quanto anticipato da Repubblica in un’intervista. Ovviamente la speranza è che l’iniziativa continui, oltre l’effetto annuncio, come è capitato a Kassel con le 7000 Eichen di Beuys.Personalmente non nutro grandi aspettative dagli amministratori pubblici milanesi, ma il Mahler di Abbado potrebbe fare miracoli.

Ammazziamoli 'sti vecchi, per piacere

Oggi ho visto cinque minuti di pomeriggio televisivo di Rai Uno e ho avuto i brividi, oltre che un primordiale istinto omicida. Il Baldo vecchiardo e semprevivo conduttore (è del 1936) aveva invitato la matura Marina Rapa di Moana (nata nel 1941: nel settore del porno sarebbe ampiamente una granny) e Valeria Marrani (del 1967) a discutere di non so che. La somma delle loro età è da capogiro: 183 anni. E per fortuna che la maggiorata è ggiovane. “Sono tutti personaggi popolari – mi sono detto, intimamente riappacificato – da dare in pasto ai tanti vecchi rincoglioniti che guardano la TV, anziché leggere un libro o farsi una partita a tresette”.
Il problema è però un altro: che nazione è la nostra in cui migliaia di posti chiave della vita pubblica (ma anche della politica e della cultura) sono tenuti saldamente in mano da persone che odorano di padiglione geriatrico? Persone che in altri paesi europei sarebbero tranquillamente ritirate a vita privata, a godersela? I vecchi conservano perché hanno paura di perdere quello che già hanno; non vogliono certamente mettersi in discussione per creare ciò che ancora non è.
L’effetto? La novità e le idee rivoluzionarie sono state abolite, penso a questo punto per via costituzionale (ci deve essere evidentemente un articolo che mi è sfuggito). Ammazziamoli ‘sti vecchi al potere. Facciamo piazza pulita!

Fiumi di parole (tra noi)

Mostra collettiva con 12 artisti, ciascuno con un curatore. Testo per ciascuno artista 2mila parole. Vanno bene anche 12mila battute spazi esclusi: troppe.
Ho cercato di oppormi: francamente mi pare una dimensione leviatanica, tale da scoraggiare anche un lettore motivato. Chi legge infatti i testi dei cataloghi, tanto più se hanno una lunghezza a dir poco vessatoria? Non sembra la lunghezza coincide con maggior lucidità, e poi bisogna sapere dire le cose senza rubare il tempo alla gente, no?
Il responsabile del progetto è inflessibile: dovrò allungare (il che mi mette nella condizione di essere un curatore a cottimo, wow!), un po’ come il cuoco allunga il brodo. Dispiace però che quel testo non sarà un punto a favore dell’artista.
Che fiumi di parole…

Quando l’arte presta il fianco a Beatrice & co.

Se non pensate che in Italia ci sia un rigurgito passatista (antiregressivo? fascista?) nel campo dell’arte contemporanea, forse vi siete persi qualche passaggio. O siete tra quelli che invece, per interessi diretto o per la cura del proprio giardinetto, fingono di non vedere. Perché c’è in atto un vero e proprio attacco populista e di cattivo gusto, oltre che di grande malafede, a chi pratica un’arte che, con differenti sfumature, è ascrivibile alla galassia concettuale.
L’ultimo spunto viene da un articolo per il Giornale di Luca Beatrice, scritto in seguito all’incidente accaduto alla scultura che Lara Favaretto presenterà in occasione della mostra inaugurale della nuova Galleria Civica di Trento. L’accusa è ovvia e non estranea al buon senso: costa un sacco di soldi. Beatrice prosegue nel dire che bisogna essere molto parchi quando si lavora con i soldi pubblici – impossibile non essere d’accordo – e poi spiega che con i 50mila euro spesi per l’opera della Favaretto (altri 110mila li mettono i provati) è possibile fare una mostra intera. Ovviamente dipende dai criteri di opportunità: per lui quell’opera non li vale, per il curatore della mostra sì.
Ma è qui che il curatore del nostro ultimo Padiglione lagunare deraglia buttandola in politica. Tanti dei curatori di sinistra – dice in sostanza – si piccano e si vantano di proporre opere problematico-fighette che il pubblico non capisce. E se qualcuno osa criticare “è semplicemente un cretino o peggio, un reazionario, espressione dell’incultura greve della destra”. E poi continua: “da quando l’arte contemporanea ha avuto la pretesa di dialogare con lo spazio, uscendo dal comodo rifugio delle gallerie e dei musei, i guai si sono moltiplicati all’ennesima potenza”.
Ha ragione Beatrice. Molta della pittura che lui ha proposto (anche alla Biennale, in maniera quasi vergognosa poiché non rappresenta lo stato della nostra ricerca) ha il vantaggio di non rompere le palle con inutili ambizioni di pensiero e si limita a decorare le pareti delle case. Con l’arte si diano risposte al pubblico, magari a senso unico, e non si facciano domande da sapientini di sinistra. È da un po’ che lo sta ripetendo, anche con la benedizione del ministro Bondi.
Una cosa però mi sta a cuore. Curatori e critici che non la pensate come Beatrice: siate intellettualmente ambiziosi, ma centellinate ogni euro del vostro budget senza farvi prendere la mano. Combattete e siate moralmente inattaccabili. Bisogna evitare di prestare ancora la schiena a quelli che odiano l’arte che pone problemi e domande. A coloro che sostanzialmente hanno teorizzato la figura del curatore-puttana ma si sono ora miracolosamente riverginati da fustigatori del costume.

L'olimpica Venezia

Un occasione imperdibile: fare le Olimpiadi del 2020 nel triangolo Venezia-Padova-Treviso. Queste le parole di Massimo Cacciari, che evidentemente pensa alla manifestazione come (ultima?) occasione per dotare di infrastrutture la città lagunare e al suo hinterland sulla terraferma. Ma la città sarà in grado di reggere il peso di un simile evento?
Lo sarebbe se uscisse dalla logica conservativa dallo stesso Cacciari sostenuta (vi ricordate il sue folle motto sulla ricostruzione della Fenice, “Com’era, dov’era”?), se definitivamente diventasse un città moderna ed europea, non una Disneyland sull’acqua con alberghi carissimi in cui bisogna stare attenti a non farsi truffare da bar, ristoratori & co. No, non ha senso diventare olimpiche se non cambia la mentalità da bottegari che ti vogliono fottere o da intellettuali che guai a toccare qualcosa. Se non si costruisce anche urbanisticamente qualcosa di nuovo, come ad esempio una metro cittadina o un qualsiasi altro efficiente sistema di trasporti. Se non si diventa non tanto moderni, ma contemporanei.
Fa strano che questa proposta venga da Cacciari, ma il narciso sindaco filosofo sa fare bene i conti, anche sulla propria poltrona. Per una volta sono d’accordo con lui, ed è perfino d’accordo il governatore Galan.
Si sottragga questa città da soprintendenze dal soffocante giogo della storia e si decida di abbracciare il mondo nuovo che dovrà venire.

Il Pomodoro di Briatore ed il suo gusto

Ho letto un bel pezzo sull’ultimo Venerdì di Repubblica, firmato da Gianni Barbacetto, che racconta l’avventurosa vicenda di Flavio Briatore (anche dal punto di vista dei rapporti con la giustizia e delle sue frequentazioni di persone di ambienti non certo raccomandabili). Ma la cosa che mi ha colpito di più – e che ho appreso con un certo sconcerto – è che Briatore è considerato urbi et orbi un arbiter elegantiarum. D’altro canto sono note le sue amicizie nel settore della moda e del lusso. La sua immagine è quindi quella del ricco dal gusto raffinato e seducente, del “mannaggia a lui magari ce lo potessimo permettere pure noi!”
A conferma di questo c’era un’immagine del trendyssimo Flavio nazionale, in una delle sue dorate magioni in stile impero in uno dei quartieri cool di una delle città più glamour del mondo, con una bella palla sul tavolino. Fantastica, sarà tutta d’oro. Una di quelle opere di cui parla Bonami (a dir il vero facendo casino, ma almeno ci si diverte) nel suo Lo potevo fare anch’io.
Che il Bria sia un ennesimo Trimalcione? Personalmente non ho dubbi.

Contro l'immobilità del Bene Culturale

Si può a discutere a lungo su quale definizione dare al Bene Culturale. Ce ne sono svariate, ognuna con una sfumatura che permette di sottolineare un aspetto o un punto di vista particolare. La cosa che più mi sta a cuore è però una concezione arcaicamente antieconomica che sembra abitare il nostro Paese: il fatto cioè, che essendo bene “supremo” sia in qualche modo indisponibile a fruttare e vada solo difeso o protetto. Mi spiego meglio.
Se ho un magnifico cratere a figure rosse del III sec.a.C. che non riesco ad esporre o non ho la forza per informare le persone che c’è e che merita di essere visto, è meglio che lo affidi (con tutte le garanzie del caso) ad un museo estero che riesce a farne una meta turistica. A chi giova avere i musei vuoti e le opere indisponibili?
Nonostante le tante contestazioni, hanno infatti fatto bene i responsabili del Louvre a prestare alcune delle loro opere ai pacchiani arabi mediorientali. Oppure continuiamo a sprecarlo il nostro oro, come raccontava il bel servizio di Rai 3 di domenica scorsa?
Qui non ci arriveremo mai. Troppi sacrari da abbattere, una cultura passatista e antimanageriale da prendere a martellate. Mentre continuano a languire tesori nei nostri forzieri…

Public art & public fart

C’è spesso un abisso di valore nelle opere e negli interventi di public art che ho visto in giro. Devo confessare che molti di quelli che ho visto nelle varie città fanno schifo, sono retorici, tronfi, didascalici. Non è facile infatti trovare lo spazio per l’arte nel sovraffollato contesto urbano.
Essenzialmente mi pare che solo quelli che funziono bene anche altrove (e cioè in galleria o al museo) sono i migliori, il che, a dirla tutta, ne motiverebbe una certa inutilità della collocazione. Le opere cioè devono restare tali a prescindere dal fatto di essere messe sulle strade o sui palazzi. Quelle interessanti, ovunque si mettano, rimangono tali.
Tutto il resto è noia, mi pare.