Categoria: cultura

Macro & Maxxi. La sfida è ora

Non c’è che dire. La doppia apertura museale romana Macro/Maxxi ha dimostrato quello che forse si sapeva già: gli italiani, se vogliono, ce la fanno a far qualcosa di buono, anche se molti remano contro.
Non vorrei però che la modalità scelta per la città fosse troppo semplicisticamente ispirata al modello Bilbao: faccio un museo da meraviglia in una città sperando che automaticamente cambino le sorti del luogo. Infatti fortunatamente Roma non è depressa come la Bilbao degli anni Ottanta (essendo in buona sostanza una città dal passato florido ed invadente che vive avvolta dalle ragnatele della propria storia) e nel contempo la città è anche un centro economico e culturale di primo livello; parimenti sono disponibili numerosi capitali di provenienza bancaria e qualche volta pure le istituzioni riescono a lavorare.
Roma non ha cioè immediato bisogno di Macro & Maxxi: queste due istituzioni infatti non appartengono (solo) alla città bensì al paese tutto. Costruito il motore, Roma deve a questo punto mettere a disposizione il combustibile per andare altrove. Per produrre innovazione, cultura del cambiamento, interesse, partecipazione. Dopo i fuochi d’artificio dell’inaugurazione la vera sfida è ora.

Sgarbi soprintendente a Venezia? Per Bondi è sì

La prima cosa che ho pensato è che al peggio non ci sia mai fine. La seconda che il posto più appropriato per Bondi sia un convento lontano dalle cose mondane, dato che quelle poche volte che va al suo ufficio in via del Collegio Romano – è il ministro più assenteista: Brunetta dove sei? – commette cappelle clamorose. Caro ministro, la prego, stia lontano dal Mibac e si dedichi piuttosto a seguire quel sentiero illustre tracciato da Francesco Petrarca: scriva poesie, non importa se saranno dedicate a sua altezza il re dei nani; sarà sempre il male minore.
Contrariamente infatti al primo nome uscito di Fabrizio Magani, già responsabile della Soprintendenza di Verona, il ministro ha tirato fuori dal cilindro il nome di Vittorio Sgarbi. Proprio lui che sarà responsabile dell’italico padiglione alla prossima Biennale. Proprio lui che tutto sa di arte da Fidia a Cattelan. Proprio lui che è stato condannato nel 1996, con sentenza definitiva del Pretore di Venezia, a 6 mesi e 10 giorni di reclusione per falso e truffa aggravata e continuata ai danni dello Stato (era dipendente ministeriale proprio nella città lagunare).
Evidentemente per Bondi quel curriculum da uomo disonesto è adatto per il ruolo. Che ministro per bene.

Pasolini è morto come Caravaggio

Anche se trovo letteralmente fuori del tempo il suo antimodernismo cattolico, sono tra quelli che considerano Pasolini uno dei più lucidi intellettuali del Novecento. Figura di rilievo – sempre comunque scomoda – come testimonia anche la sua morte.
Non so se il feroce omicidio di PPP (trovate le foto qui) sia maturato in quello che comunemente si indica come “ambiente omosessuale”, o piuttosto se invece vi siano dietro motivazioni politiche (cioè Pasolini punito da un gruppo di fascisti che volevano fargli pagare caro la sua omosessualità); o il fatto forse che stesse scrivendo un libro contro i poteri forti, come parrebbe di capire se fosse vera l’ipotesi che il suo romanzo incompiuto, Petrolio, contenesse delle rivelazioni compromettenti (a quanto riferiscono le ultime indiscrezioni e la nuova deposizione del reo confesso Pelosi).
Fatto sta che la sua è una morte difficile, in cui il rasoio di Ockam forse non taglia come dovrebbe. E poi è una morte contesa, come testimonia un toccante ma duro articolo di qualche anno fa dell’amico Ferdinando Camon, che invitava a “non mondare Pasolini dalla morte per omosessualità e consegnarlo alla storia come morto per antifascismo”. Forse più di tutti ha ragione Federico Zeri, spiegando che Pasolini è morto come Caravaggio, dato che “in tutt’e due mi sembra che la loro fine sia stata inventata, sceneggiata, diretta e interpretata da loro stessi”.

Giorgione? Vediamolo al centro commerciale!

È curioso e superpop il tributo che in questi giorni Castelfranco Veneto dedica al suo cittadino più illustre, il Giorgione. Dopo la mostra ospitata nella sua “casa natale” (così dicono i comunicati, ma in realtà l’unica cosa di cui siamo sicuri è che in quel palazzo ci sono dei fregi affrescati realizzati dal pittore e dalla sua bottega), letteralmente presa d’assalto dal pubblico, ora il centro commerciale “Giardini del sole” espone infatti delle copie delle opere del genius loci, come pomposamente dichiarato in paginate di pubblicità comprate nei giornali locali.
Così le persone distratte o che non hanno avuto la possibilità di andare alla mostra – basti pensare che ad un mese dalla chiusura erano stati venduti tutti i posti per vedere i suoi quadri – potranno infatti fare shopping e vedere qualche bel pezzo del Zorzon, di sicuro ben riprodotto. In fin dei conti cosa cambia?
E poi, se non siamo riusciti a sentire i Radiohead, cosa c’è di meglio di una cover band dal vivo la settimana successiva?

Panza di Biumo non resti un caso isolato

Mi è molto dispiaciuto che un paio di giorni fa Giuseppe Panza di Biumo sia venuto a mancare. Lui per me rappresenta un modello prestigioso di intellettuale: è il collezionista che ha capito come, grazie alle sue scelte e al suo gusto, sia possibile intervenire sulla realtà. Chiariamocelo: Panza è una persona con un patrimonio cospicuo e che gode di molte agiatezze sconosciute ai più del suo tempo. Ma la sua azione non è un fatto di ricchezza (benché ricchezza sia necessaria), quanto di rinnovamento culturale e, parallelamente, di allargamento e democratizzazione dell’arte.
Negli anni Sessanta all’Italia – paese in cui molti sono attardati a celebrare i fasti del proprio passato – Panza di Biumo propone invece l’arte del Nuovo Mondo, che parla con alfabeti che non puzzano di accademia o di bella pittura. Ha contatti con i più importanti artisti concettuali e minimalisti, e con i direttori di museo, grazie ai quali decide di lasciare parti della sua enorme collezioni ovunque (consiglio a proposito di leggere le sue parole nei due libri di Jaca Book Ricordi di un collezionista e L’arte degli anni ’50, ’60, ’70). Negli anni successivi apre la sua dimora al pubblico, non smettendo mai di sostenere le idee ed i valori estetici degli artisti amati.
Il suo ruolo è stato nel complesso ibrido: un po’ collezionista, un po’ mecenate. Di sicuro “popolare” nel senso Gramsciano del termine, il che lo fa essere un unicum nel panorama italiano. Tanto di cappello, spero siano in molti ad imitarlo.

Umanità in coda

Nei giorni che hanno preceduta la Pasqua c’è stato il lancio del nuovo aggeggio elettronico della Apple per il quale i soliti pecoroni americani hanno fatto ore di coda. Si sa che il consumismo spinto di quel paese ha i suoi riti, ma fa proprio tristezza vedere i drogati di tecnologia in fila per una novità che qualcuno ha immaginato (e programmato a suon di dollari spesi in marketing) possa cambiare la vita.
Negli stessi giorni qui da noi altre persone facevano la fila per vedere Caravaggio o più modestamente il Cima, mentre era impossibile entrare a vedere il Giorgione senza prenotazione (come puntualmente racconta la collega Pepe). Anche qui pubblicità e modello imitativo hanno fatto un buon lavoro, dato che
all’improvviso la pittura antica è diventata cosa da figaccioni che tutti vogliono.
Ormai tra la cultura o l’iPad non fa più differenza. Producono entrambi un’umanità in fila indiana per spendere. Anche se, di questo si può essere certi, qualcuno in Italia cercherà di passare avanti.

La torta mimosa

Per oggi e domani le donne saranno importanti. Poi da metà della settimana prossima continueranno a guadagnare quasi il 20% in meno degli uomini, ad essere maltrattate da mariti e fidanzate, picchiate e violentate in casa e dagli sconosciuti, prese a pesci in faccia dai politici, dai colleghi e dal clero maschilista.
Quanta retorica deprimente per la festa dell’otto marzo. Quante mimose consegnate con sorrisi di circostanza. E poi comuni e assessorati che si dimostrano attivi con iniziative per le donne, novelle creature da proteggere come il panda gigante o la foca monaca.
Sarà la festa delle false pari opportunità, come sempre. E l’unica mimosa che mi permetto per l’altra metà del cielo – concedetemela – è quella con il pan di spagna, panna, guarnita con la frutta.
Tenete duro, tanti auguri.

Cosa nasconde la mania dell’anniversario

L’anniversario del Futurismo. Poi quello di Giorgione e Caravaggio. Settimana scorsa quello del Cima da Conegliano, l’anno prossimo l’Unità d’Italia. Anche Jacopo Bassano, uno dei prìncipi della pittura veneta, avrà il suo: tra il 2010 (si è appena inaugurata la sua prima mostra) ed il 2012, essendo la sua data di nascita incerta.
Le ragioni scientifiche delle mostre invece molto spesso non ci sono. Si vociferano capolavori inediti e prime esposizioni italiane, ma si scopre poi che è sempre la stessa sbobba riscaldata. L’occhio ci guadagna – non c’è che dire -, ma per una volta siamo seri e chiamiamolo intrattenimento. Più intelligente delle mille cazzate di Zelig, e, di sicuro, meno noioso dell’ennesimo reality. Il che, nel nostro contesto italiano, è già molto.