Stavo riordinando i cataloghi degli ultimi mesi e mi sono trovato tra le mani la curatissima pubblicazione che ha corredato la personale di Sergio Scabar presso l’Ospedale dei Battuti di San Vito al Tagliamento (potete leggere qui la recensione). Oltre ai lavori dell’artista e al testo del curatore Angelo Bertani, il catalogo contiene degli estratti de La vita delle cose di Remo Bodei, particolarmente interessanti se consideriamo la ricerca “morandiana” sugli oggetti condotta da Scabar.
Ma quello che mi ha colpito è stato che il catalogo è anche in friulano. Sì, in friulano. Per la precisione è trilingue ed i testi sono in quest’ordine: friulano, inglese, italiano. Mi pare incredibile.
Trovo imbarazzante che siano stati spesi dei soldi cioè per tradurre i testi in questa lingua – guai a chiamarlo dialetto, vi attirereste le ire degli oltranzisti. Dubito infatti che il curatore e Bodei scrivino in friulano.
Così, mentre mancano i quattrini per l’arte, se ne sprecano considerando il furlan lingua da conservare approfittando dei contributi che la regione autonoma concede per la difesa del patrimonio linguistico (una cosa da ridere). Quei soldi li avrei preferiti per dare un’occasione, qualcosa in più. Magari per far migliorare l’inglese agli artisti della regione.
Categoria: cultura
Il crollo di Pompei e il buio sulla cultura
E’ nel contempo la dimostrazione del fallimento di molti di quelli che hanno fatto cultura, che realmente non sono riusciti ad incidere sulla storia recente dell’Italia, nazione ormai piegata ad essere lo zoo d’Europa. E’ inultuile che si facciano liste e si usi retorica per parlare di cultura, come hanno fatto Fazio, Saviano e pure un grande come Abbado, recentemente per televisione su Rai3.
Bisogna cambiare il passo, shakerare e capovolgere sta nazione. Federculture lancia un grido d’allarme (lo trovate qui sempre meglio di niente), ma sarà come svuotare il mare con un secchio…
Se tutte le opere sono un “capolavoro”

Mi imbatto in un’“opera” orripilante di Umberto Vaschetto, costituita da una immagine di donna dalla quale ciondola un feto di plastica che gronda sangue (!), un evidente lavoro antiabortista. Ma la notizia incredibilmente interessante segnalata dal sito è questa: l’addetta alle pulizie ha pulito le macchie rosse a terra.
Sono sconcertato, non tanto per il livello infimo dell’opera (di opere brutte se ne vedono molte), ma perché il titolo “capolavoro lavato via” fa venire i brividi. Si sa, i titolisti amano speziare le cose, tanto più in un’epoca di infotainment e notizie spazzatura come la nostra. Ma l’uso della parola “capolavoro” per quell’opera è indigeribile, un vero colpo inaspettato sul pube anche del più rincoglionito e amorfo dei lettori (se fate caso, tra l’altro, quando si parla di arte sui quotidiani la parola “capolavoro” è come il prezzemolo). Se ci penso, mi duole ancora il basso ventre.
La cultura, il pane, Tremonti e la sorella di

E comunque con la cultura non si mangia, non è certo come il pane, tanto più in un paese di ignoranti come il nostro. E chi se ne frega dei nostri vecchissimi beni culturali, visto che – se non ci fosse ‘sta mentalità statalista ed immobilista – potremmo cartolizzarli o venderli ai cinesi! E l’arte contemporanea? Tremonti la sta appoggiando come si deve, almeno da quanto si vede dalle opere della sorella Angiola esposte alla Villa Reale di Milano.
Giulio, sei il mio mito.
Il Fanculo di Cattelan? Lasciamolo!

Mentre le fazioni pro o contro continuano a belligerare, quel volpone di Politi ci ha messo il carico, proponendo di lasciare la scultura in forma stabile dopo la mostra (leggete qui). A prescindere dal fatto che difficilmente Politi faccia qualcosa senza guadagnarci (mi risulta che abbia svariati pezzi dell’artista veneto e quindi immagino che non gli dispiaccia affatto che si apprezzino di valore) questa volta dice una cosa giusta.
Non nascondo che è imbarazzante essere d’accordo con lui, ma l’idea di lasciare al suo posto quel Fanculo in marmo di Carrara mi trova concorde. Non tanto perché rappresenti “il solo e unico simbolo di contemporaneità, in una città ansimante e affaticata come Milano”, ma soprattutto perché la città meriterebbe di andare a farsi fottere, per la mentalità chiusa e falsamente internazionale, per l’assenza di una politica culturale di livello che non sia fashion e lustrini.
E’ inutile che ce la raccontiamo, Milano, esattamente come l’Italia, è decisamente alla frutta. E quel monumento può rappresentare non tanto la sua rinascita, quanto il suo funerale celebrato da una Cassandra acutissima che in troppi fanno finta di non sentire.
Mettiamo in pensione Giorgio Bocca?

Il pezzo del giornalista piemontese era contro il computer, un vero coacervo di luoghi comuni e di riflessioni di chi ha vissuto la macchina da scrivere e il telefono, il Novecento insomma. E può al massimo rimpiangere il secolo scorso senza capire quali siano le prospettive che invece il computer e la telematica rendono possibile, anche per portare avanti molte delle battaglie che lo stesso Bocca ha condiviso.
Non sarebbe meglio saperlo placidamente in pensione?
Sgarbi soprintendente congelato
Alla fine l’hanno congelato, come le patate, la pizza o il minestrone. Sì, perché il Ministrino della Cultura della nostra cara Italietta vuole proprio il menestrello ferrarese alla Soprintendenza di Venezia. Ma la ciambella non gli è venuta con il buco, essendo lui un pasticcere modesto e avvezzo essenzialmente ai buchi nell’acqua.
Fatto sta che la Corte dei Conti ha bocciato la nomina di Sgarbi, il quale ha pensato bene di andarsene in ferie, spiegando però di obbedire “come un soldato, in assoluta sintonia con il ministero”. “Sarà un po’ una sofferenza – prosegue Sgarbone – perché la parola ferie non mi appartiene, ma non vedo l’ora di tornare”.
E intanto al suo posto è stata messa pro tempore Annamaria Spiazzi, in attesa che il Mibac avvii nuove procedure. Un pezzo di cabaret la dichiarazione di Bondi: “Anche in caso di concorso vincerebbe comunque lui”. Alla faccia della correttezza istituzionale e del rispetto degli altri candidati.
Caro Sandro, la prego, non si occupi di cultura. La preferiamo di gran lunga quando scrive poesie per Berlusconi.
Marc Augé, la Padania e l’arte concettuale

Ma soprattutto la Padania è un nonluogo. Secondo Marc Augé – copio ed incollo da Wikipedia – i nonluoghi “sono spazi in cui milioni di individualità si incrociano senza entrare in relazione, sospinti dal desiderio frenetico di consumare o di accelerare le operazioni quotidiane o come porta di accesso ad un cambiamento, sia reale che simbolico”. I nonluoghi sono prodotti della società “della surmodernità”, incapace di integrare ed assorbire le valenze dei luoghi storici, che vengono invece banalizzati e circoscritti.
La Padania insomma, al massimo può essere il giornale pieno delle amene cazzate dei leader del Carroccio. I nonluoghi, infatti, hanno la prerogativa di “non essere identitari, relazionali e storici, in contrapposizione ai luoghi antropologici”. E qui, dall’ampolla a tutti i riti celtici da sagra della stuipidità, per darcela a bere la storia se la sono dovuti inventare.
Mammia che spiazzamento. E che artisti quella della Lega. Ora ho capito tutto: la Padania è un’opera concettuale. Me l’hanno proprio fatta sotto il naso.