Categoria: costume

De Chirico e la parabola dell’italiano disonesto

Non riesco a capire perché un’istituzione sostanzialmente seria, come il romano Palazzo delle Esposizioni a Roma, perda tempo ad ospitare una retrospettiva (a cura di Bonito Oliva), su Giorgio De Chirico con lavori che, pur autografi per mano, sono moralmente e concettualmente falsi. La natura secondo de Chirico – il titolo a dir il vero è spuntato fin quasi a mettere d’imbarazzo – è una mostra su un artista che, dopo essere stato un vero genio della pittura negli anni giovanili, è riuscito nella maturità a disonorare il frutto della propria ricerca.
Nel secondo dopoguerra De Chirico aveva infatti con una certa frequenza iniziato a copiare i propri quadri metafisici, ma anche a retrodatare quelli che faceva per poterli vendere come giovanili: quindi da un lato riproponeva la maniera degli anni Dieci e Venti, dall’altro si autofalsificava arrivando perfino a non rendersi più conto lui stesso se l’opera fosse originale o copia. A quel punto il pasticciaccio era fatto.
Ma che credibilità può avere un simile uomo disonesto? Come possiamo tollerare questa pratica intellettualmente truffaldina dedicandogli una mostra con lavori posteriori agli anni Quaranta (seppure con l’accortezza di segnalarne l’erronea datazione furbesca). Ci piace celebrare il famoso, il noto, il vincente, e non sappiamo mandare a fanculo i vecchi tromboni che ci fottono.
La parabola di de Chirico è esattamente la stessa del nostro paese. Che disgusto.

Umanità in coda

Nei giorni che hanno preceduta la Pasqua c’è stato il lancio del nuovo aggeggio elettronico della Apple per il quale i soliti pecoroni americani hanno fatto ore di coda. Si sa che il consumismo spinto di quel paese ha i suoi riti, ma fa proprio tristezza vedere i drogati di tecnologia in fila per una novità che qualcuno ha immaginato (e programmato a suon di dollari spesi in marketing) possa cambiare la vita.
Negli stessi giorni qui da noi altre persone facevano la fila per vedere Caravaggio o più modestamente il Cima, mentre era impossibile entrare a vedere il Giorgione senza prenotazione (come puntualmente racconta la collega Pepe). Anche qui pubblicità e modello imitativo hanno fatto un buon lavoro, dato che
all’improvviso la pittura antica è diventata cosa da figaccioni che tutti vogliono.
Ormai tra la cultura o l’iPad non fa più differenza. Producono entrambi un’umanità in fila indiana per spendere. Anche se, di questo si può essere certi, qualcuno in Italia cercherà di passare avanti.

Digital Blackout

Troppi impegni e troppi casini, e per quindici giorni sono stato senza scrivere alcun post sul mio blog. In più il mio sito personale si era bloccato per colpa di un aggiornamento di Word Press andato a puttane, e che ahimè non sono riuscivo a sistemare se non con l’intervento di un tecnico, dall’attesa proverbiale.
Non nascondo l’imbarazzo a non avere una vita sul web: è come diventare improvvisamente asociali, misantropi, a starsene chiusi in casa. Il che, non è molto raccomandabile, soprattutto per chi fa vita di relazioni.
Ora, finalmente, eccoci di nuovo qui. La vita ricomincia in primavera.

La torta mimosa

Per oggi e domani le donne saranno importanti. Poi da metà della settimana prossima continueranno a guadagnare quasi il 20% in meno degli uomini, ad essere maltrattate da mariti e fidanzate, picchiate e violentate in casa e dagli sconosciuti, prese a pesci in faccia dai politici, dai colleghi e dal clero maschilista.
Quanta retorica deprimente per la festa dell’otto marzo. Quante mimose consegnate con sorrisi di circostanza. E poi comuni e assessorati che si dimostrano attivi con iniziative per le donne, novelle creature da proteggere come il panda gigante o la foca monaca.
Sarà la festa delle false pari opportunità, come sempre. E l’unica mimosa che mi permetto per l’altra metà del cielo – concedetemela – è quella con il pan di spagna, panna, guarnita con la frutta.
Tenete duro, tanti auguri.

I giornalisti stacanovisti (del buffet)

Lo ammetto. Sono tra quelli che, se il cibo ed il vino lo meritano, non si tira indietro dal buffet alle inaugurazioni. Ad esempio conservo ricordi di rinfreschi luculliani al Mart di qualche anno fa con tanto di risotto alle mele renette servito su forme incavate di Parmigiano (pardon, Grana Trentino), carne salada, e perfino grappa invecchiata servita con cioccolato fondente.
E poi ho fatto al buffet conoscenze con persone strepitose: non c’è di meglio che scambiare impressioni su una mostra con un bicchiere in mano, preferibilmente il quinto o il sesto, in modo di essere sciolti. Ricordo poi frotte di persone venire alle inaugurazioni di Villa Manin (quando c’era ancora Bonami) solo per approfittare del tocai e del frico. Che volete farci, noi italiani si magna.
Quelli che non sopporto sono invece i prevaricatori, quelli che non rispettano la fila per prendere prima di te una cucchiaiata di qualsiasi cosa edibile. C’è ad esempio un gruppo di giornalisti che viene da Milano e che trovo puntualmente a tutti i buffet delle mostre del norditalia. Sono degli stacanovisti del piatto. Hanno un’età tra i 50 ed i 70 ed una voracità da cavalletta con il verme solitario, ma soprattutto, hanno sempre una scusa per mangiare e passarti avanti. Mammamia, che spettacolo indegno. C’è da vergognarsi a fare i giornalisti.

Meglio il porno che Sanremo

 

Sta per finire la settimana di Sanremo. Quasi non me ne sarei accorto se giornali, internet e radio non avessero parlato d’altro nella sezione di cultura o spettacoli. A un livello da follia.
Prima Morgan il drogato impenitente, poi il rampollo savoiardo che canta con non so chi, poi la conduttrice troppo popolana, poi Carla Bruni che fa la sborona e non ci va, e chissà quali altre cagate alla ricerca dell’ennesimo (finto) scandalo… Ora andranno avanti qualche giorno con interviste della serie “che emozione vincere a Sanremo”, con il carrozzone sui partecipanti secondi, eccetera.
Quanto mi piacerebbe che in questa settimana, anziché questo spettacolo osceno, Rai Uno avesse trasmesso un bel e moralissimo porno d’autore, magari di Andrew Blake. Da dare una bella scossa a questo pubblico di persone – in coma quasi irreversibile – che ama seviziare il proprio cervello con cazzabbubbole da brivido.

 

Ammazziamoli 'sti vecchi, per piacere

Oggi ho visto cinque minuti di pomeriggio televisivo di Rai Uno e ho avuto i brividi, oltre che un primordiale istinto omicida. Il Baldo vecchiardo e semprevivo conduttore (è del 1936) aveva invitato la matura Marina Rapa di Moana (nata nel 1941: nel settore del porno sarebbe ampiamente una granny) e Valeria Marrani (del 1967) a discutere di non so che. La somma delle loro età è da capogiro: 183 anni. E per fortuna che la maggiorata è ggiovane. “Sono tutti personaggi popolari – mi sono detto, intimamente riappacificato – da dare in pasto ai tanti vecchi rincoglioniti che guardano la TV, anziché leggere un libro o farsi una partita a tresette”.
Il problema è però un altro: che nazione è la nostra in cui migliaia di posti chiave della vita pubblica (ma anche della politica e della cultura) sono tenuti saldamente in mano da persone che odorano di padiglione geriatrico? Persone che in altri paesi europei sarebbero tranquillamente ritirate a vita privata, a godersela? I vecchi conservano perché hanno paura di perdere quello che già hanno; non vogliono certamente mettersi in discussione per creare ciò che ancora non è.
L’effetto? La novità e le idee rivoluzionarie sono state abolite, penso a questo punto per via costituzionale (ci deve essere evidentemente un articolo che mi è sfuggito). Ammazziamoli ‘sti vecchi al potere. Facciamo piazza pulita!

Il Pomodoro di Briatore ed il suo gusto

Ho letto un bel pezzo sull’ultimo Venerdì di Repubblica, firmato da Gianni Barbacetto, che racconta l’avventurosa vicenda di Flavio Briatore (anche dal punto di vista dei rapporti con la giustizia e delle sue frequentazioni di persone di ambienti non certo raccomandabili). Ma la cosa che mi ha colpito di più – e che ho appreso con un certo sconcerto – è che Briatore è considerato urbi et orbi un arbiter elegantiarum. D’altro canto sono note le sue amicizie nel settore della moda e del lusso. La sua immagine è quindi quella del ricco dal gusto raffinato e seducente, del “mannaggia a lui magari ce lo potessimo permettere pure noi!”
A conferma di questo c’era un’immagine del trendyssimo Flavio nazionale, in una delle sue dorate magioni in stile impero in uno dei quartieri cool di una delle città più glamour del mondo, con una bella palla sul tavolino. Fantastica, sarà tutta d’oro. Una di quelle opere di cui parla Bonami (a dir il vero facendo casino, ma almeno ci si diverte) nel suo Lo potevo fare anch’io.
Che il Bria sia un ennesimo Trimalcione? Personalmente non ho dubbi.