Autore: Daniele Capra

La bestemmia di Berlusconi

Sono stato berlusconiano per qualche secondo, lo confesso.
La barzelletta su Rosy Bindi che il nostro Presidente del Consiglio ha raccontato ai militari – e che a dir il vero avevo già sentito – era molto simpatica, anche se doppiamente inopportuna. Inopportuna perché in situazioni pubbliche è veramente rozzo prendere in giro gli avversari per motivi personali, come ad esempio la loro avvenenza o la loro situazione famigliare: vi immaginereste Di Pietro che apostrofa Berlusconi come “impotente” per i suoi noti problemi di prostata o per le quantità da cavallo di Viagra che gira a Palazzo Grazioli? Inopportuna perché non sempre si deve fare la figura dei simpatici sputtanando colleghi che portano i tacchi.
Ma la bestemmia ci sta tutta. E permettetemelo! Ma che razza di paese siamo se tutti fanno i moralisti per una bestemmia mentre va bene se non si paga le tasse o si corrompono i giudici o si costruisce abusivamente, basta pentirsi, fare l’elemosina e dire tre avemarie e due padrenostri?
Solo per quell'”orcodio”, e non per tutto il resto, ho avuto il primo momento di simpatia verso Berlusconi da oltre 20 anni. Per il resto, mi è già tornato il solito antipatico sbruffone che meriterebbe di stare a San Vittore.

Il Fanculo di Cattelan? Lasciamolo!

Com’era prevedibile la mostra di Cattelan a Milano ha creato una serie inenarrabile di polemiche. In maniera particolare, dopo il suo piccolo Hitler sui manifesti, è il suo Dito medio (i titoli reali sono Him e Love) installato di fronte alla Borsa a tenere banco.
Mentre le fazioni pro o contro continuano a belligerare, quel volpone di Politi ci ha messo il carico, proponendo di lasciare la scultura in forma stabile dopo la mostra (leggete qui). A prescindere dal fatto che difficilmente Politi faccia qualcosa senza guadagnarci (mi risulta che abbia svariati pezzi dell’artista veneto e quindi immagino che non gli dispiaccia affatto che si apprezzino di valore) questa volta dice una cosa giusta.
Non nascondo che è imbarazzante essere d’accordo con lui, ma l’idea di lasciare al suo posto quel Fanculo in marmo di Carrara mi trova concorde. Non tanto perché rappresenti “il solo e unico simbolo di contemporaneità, in una città ansimante e affaticata come Milano”, ma soprattutto perché la città meriterebbe di andare a farsi fottere, per la mentalità chiusa e falsamente internazionale, per l’assenza di una politica culturale di livello che non sia fashion e lustrini.
E’ inutile che ce la raccontiamo, Milano, esattamente come l’Italia, è decisamente alla frutta. E quel monumento può rappresentare non tanto la sua rinascita, quanto il suo funerale celebrato da una Cassandra acutissima che in troppi fanno finta di non sentire.

Mettiamo in pensione Giorgio Bocca?

Ho letto l’ultimo articolo di Giorgio Bocca sul numero di ieri del Venerdì di Repubblica. L’inserto settimanale del quotidiano romano ospita infatti Bocca come opinionista, assieme a Curzio Maltese e Piero Ottone. Anche ieri il pezzo era fuori del tempo e dispiace che, pur parlando di cose sempre interessanti, Bocca risulti di frequente noioso e scontato. Diciamolo pure: dà l’impressione di essere un vecchio che si fissa e che, pur sapendo perfettamente da che parte stare, è finito per diventare il classico laudator temporis acti (e tra l’altro complimenti a Repubblica: Bocca e Ottone fanno in due 176 anni: ma che razza di quotidiano di area riformista è?).
Il pezzo del giornalista piemontese era contro il computer, un vero coacervo di luoghi comuni e di riflessioni di chi ha vissuto la macchina da scrivere e il telefono, il Novecento insomma. E può al massimo rimpiangere il secolo scorso senza capire quali siano le prospettive che invece il computer e la telematica rendono possibile, anche per portare avanti molte delle battaglie che lo stesso Bocca ha condiviso.
Non sarebbe meglio saperlo placidamente in pensione?

Che vadano a farsi fottere dvd e codec

Devo ammettere che codec e dvd non sono il mio pane quotidiano. Ciononostante, da modesto utilizzatore di dvd (sia al computer che da tavolo), mi sono trovato spesso nei casini per incompatibilità di formato, di codec, disco, di lettore, di cavi e di quanto sia immaginabile dal più fantasioso dei geni del male. Dovrebbe essere tecnologia che ci facilita la vita e tutto dovrebbe funzionare perfettamente come capita con il frigo o la lavatrice. Ma non è così, ahimè.
Il tutto è arrivato qualche giorno fa alla completa follia quando un lettore dvd mi ha fatto scordare di essere ateo regalandomi il brivido di bestemmiare con tutti i santi dell’empireo celeste. Non trasmetteva il segnale dall’uscita video, per ragioni a me – ma anche agli amici che ho interpellato – sconosciute
Ora sono sicuro che quando andrò al negozio per mandarlo in assistenza rideranno, perché magari è una configurazione che è saltata o non so quale altra cosa. fatto sta che ho perso un sacco di tempo per fare una cosa che andava fatta in mezz’oretta. Ma ne abbiamo veramente bisogno di questa tecnologia inaffidabile della quale bisogna pure prendersi cura?

Sgarbi soprintendente congelato

Alla fine l’hanno congelato, come le patate, la pizza o il minestrone. Sì, perché il Ministrino della Cultura della nostra cara Italietta vuole proprio il menestrello ferrarese alla Soprintendenza di Venezia. Ma la ciambella non gli è venuta con il buco, essendo lui un pasticcere modesto e avvezzo essenzialmente ai buchi nell’acqua.
Fatto sta che la Corte dei Conti ha bocciato la nomina di Sgarbi, il quale ha pensato bene di andarsene in ferie, spiegando però di obbedire “come un soldato, in assoluta sintonia con il ministero”. “Sarà un po’ una sofferenza – prosegue Sgarbone – perché la parola ferie non mi appartiene, ma non vedo l’ora di tornare”.
E intanto al suo posto è stata messa pro tempore Annamaria Spiazzi, in attesa che il Mibac avvii nuove procedure. Un pezzo di cabaret la dichiarazione di Bondi: “Anche in caso di concorso vincerebbe comunque lui”. Alla faccia della correttezza istituzionale e del rispetto degli altri candidati.
Caro Sandro, la prego, non si occupi di cultura. La preferiamo di gran lunga quando scrive poesie per Berlusconi.

Marc Augé, la Padania e l’arte concettuale

Vivo in Padania. Padania dovrebbe essere sostanzialmente un espressione geografica, non dissimile da quella che gli antichi Romani chiamavano Gallia Cisalpina. In realtà è ben altro. E’ un invenzione politica, poiché non vi sono che pochi elementi paesaggistici, culturali, linguistici ed antropologici che accomunano tutte le persone che qui abitano (non esiste ad esempio una lingua, e stesso discorso si può dire per le tradizioni o per la cucina). E’ un posto che sta nella terra di Utopia, un luogo immaginario che riempie più le lingue che le idee.
Ma soprattutto la Padania è un nonluogo. Secondo Marc Augé – copio ed incollo da Wikipedia – i nonluoghi “sono spazi in cui milioni di individualità si incrociano senza entrare in relazione, sospinti dal desiderio frenetico di consumare o di accelerare le operazioni quotidiane o come porta di accesso ad un cambiamento, sia reale che simbolico”. I nonluoghi sono prodotti della società “della surmodernità”, incapace di integrare ed assorbire le valenze dei luoghi storici, che vengono invece banalizzati e circoscritti.
La Padania insomma, al massimo può essere il giornale pieno delle amene cazzate dei leader del Carroccio. I nonluoghi, infatti, hanno la prerogativa di “non essere identitari, relazionali e storici, in contrapposizione ai luoghi antropologici”. E qui, dall’ampolla a tutti i riti celtici da sagra della stuipidità, per darcela a bere la storia se la sono dovuti inventare.
Mammia che spiazzamento. E che artisti quella della Lega. Ora ho capito tutto: la Padania è un’opera concettuale. Me l’hanno proprio fatta sotto il naso.

Cattelan, Hitler e Milano mangiata dai vermi

Ogni volta in cui Maurizione Cattelan fa qualcosa a Milano succede una polemica.
Qualche anno fa era capitato con i bambini impiccati e l’anziano che si era ferito nel tentativo di segare i rami d’albero a cui erano appesi i tre pupazzi. Ora invece l’artista padovano è vittima della censura preventiva dei funzionari che guai a prendersi una responsabilità, dei soliti politici benpensanti, ma anche della comunità ebraica che non vede di buon occhio i manifesti con Him, il piccolo Hitlerino che prega (e francamente non si capisce perché questa, che non è certo un’opera nazista, debba obbligatoriamente essere considerata offensiva o poco rispettosa). E settimana scorsa era stata polemica anche per le altre opere, come hanno ampiamente riferito i giornali.
Ad impressionare è il livello di moralismo e di provincialità che assedia la città e la classe produttiva, di funzionari e politici che una volta era la spina dorsale della “capitale morale” d’Italia. La città non solo ha difficoltà a produrre eventi culturali di spessore, ma non è nemmeno in grado di gestire l’esistente, il già visto, come sono le opere di Cattelan.
Milano è lo specchio fedele della decadenza culturale che ci attanaglia, quella per capirci che è si è generata e riprodotta dagli anni Ottanta in poi nel nostro Paese. Il resto sono solo tentativi di mostrare cose fashion per nascondere i vermi che si sono mangiati tutto il formaggio.

Quirino Principe e la difesa della cultura

In occasione del festival Comodamente ho avuto il piacere di conoscere e scambiare qualche parola con Quirino Principe, che conoscevo come un dei maggiori critici musicali italiani, solo da lettore, per il suo meraviglioso libro su Mahler e per gli articoli sul Domenicale del Sole.
A margine di un dibattito sulla musica (in cui ha spiegato che la polarità classica/leggera con cui siamo soliti classificare i brani va invece ricondotta a musica forte/debole, in base alla consistenza del pensiero che le ha prodotte), abbiamo discusso dello stato della cultura in Italia – davvero disarmante – e della necessità di porre un argine a quella che potremmo chiamare senza remore cultura bassa. La cultura bassa non è altro che chiacchiere e marketing serviti in maniera furba e al passo coi tempi per sembrare cultura. Si tratta cioè di una psuedocultura da intrattenimento costante, se non proprio di una controcultura pensata per distrarre le persone dalle attività di pensiero, visto il posto smisurato che occupa nel nostro paese (la “p” è minuscola per scelta).
I responsabili? La P2, la Chiesa, i politici di ogni parte e gli intellettuali minchioni della sinistra che non hanno quasi mai combattuto per fare della cultura un fatto popolare. Sono rimasto letteralmente impressionato dalla coincidenza della diagnosi di Principe con la mia, ma anche dal guizzo luciferino con cui mi ha consigliato di “spargere veleno” nei miei pensieri, nelle mie riflessioni, nelle mie parole. La battaglia, forse, non è ancora persa del tutto.