Se tutte le opere sono un “capolavoro”

Sconcertante è la leggerezza con cui i quotidiani italiani trattano di arte contemporanea, usando parole a sproposito, al di fuori di qualsiasi logica di buon senso. Questa volta èRepubblica.it a sorprenderci, nella classica colonnina cazzabubbole della homepage sulla sinistra, il refugium peccatorum dell’utente in cerca di distrazione (spazio in cui tra l’altro mi è capitato di vedere artisti sconosciuti al grande pubblico ma di sicuro interesse come Chris Gilmour). Qui ieri campeggiava un link dal titolo, molto promettente, “il capolavoro lavato via”. Non riesco a capire di cosa si tratta, immagino un’istallazione di John Bock pulita con la candeggina o Ausfegen di Joseph Beuys passato con il bidone aspiratutto. A quel punto, incuriosito, clicco. Ed è subito sera.
Mi imbatto in un’“opera” orripilante di Umberto Vaschetto, costituita da una immagine di donna dalla quale ciondola un feto di plastica che gronda sangue (!), un evidente lavoro antiabortista. Ma la notizia incredibilmente interessante segnalata dal sito è questa: l’addetta alle pulizie ha pulito le macchie rosse a terra.
Sono sconcertato, non tanto per il livello infimo dell’opera (di opere brutte se ne vedono molte), ma perché il titolo “capolavoro lavato via” fa venire i brividi. Si sa, i titolisti amano speziare le cose, tanto più in un’epoca di infotainment e notizie spazzatura come la nostra. Ma l’uso della parola “capolavoro” per quell’opera è indigeribile, un vero colpo inaspettato sul pube anche del più rincoglionito e amorfo dei lettori (se fate caso, tra l’altro, quando si parla di arte sui quotidiani la parola “capolavoro” è come il prezzemolo). Se ci penso, mi duole ancora il basso ventre.

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