Ho avuto la fortuna di conoscere Hilla Becher in occasione della mostra organizzata a Bologna l’anno scorso presso il Museo Morandi a Bologna. Mi è piaciuta molto questa signora ormai anziana in grado di esprimersi, come tutte le persone davvero grandi, con semplicità ed immediatezza. In particolare mi hanno colpito le sue parole riguardo i primi anni di lavoro assieme al marito. “Le tipologie”, mi ha spiegato “sono nate dopo anni passati a scattare ricercando di standardizzare il processo di ripresa. L’idea che le foto potessero essere in relazione nasce solo dopo lunghi mesi di osservazione”.
Sono stato felice di sentire quelle riflessioni, tanto più perché provano come l’arte concettuale abbia anche matrici induttive, contrariamente alla vulgata che tanto si ascolta in giro e che congela l’atto creativo nell’idea. Che è spesso quello che tanti cattivi e professori insegnano ai nostri studenti nelle accademie, ammorbandoli con elucubrazioni sui progetti e contemporaneamente sottraendo al fare arte la dimensione pratica. Invece, almeno per la coppia tedesca, l’arte si è sviluppata a posteriori, ed il pensiero è stato generato dall’interazione reale/concetto mediata dall’artista e dal tempo. In barba “ai maligni e ai superbi” teorici idealisti.