Le prime uscite sulla Sgarbi-Biennale

Devo ammettere che le uscite di Vittorio Sgarbi sulla Biennale mi hanno stupito piacevolmente. Affidare il padiglione italiano ad insigni uomini di cultura vuol dire assumersi i rischi di mettere in mostra quanto l’arte contemporanea sia o non sia parte del sistema culturale del nostro paese. “Sono sicuro che ne uscirebbe un quadro più interessante di quanto possano dare i soliti critici, esponenti del commercio e del collezionismo di mestiere, tendenzialmente isolati dal tessuto più vivo della società italiana”, dice Sgarbi. E ha perfettamente ragione.
Perché – questo dobbiamo dircelo chiaramente – qui da noi il contemporaneo è comunque espressione di una piccola élite, o, meglio si farebbe dire, di una (mafiosa?) setta di adepti. Non ci sono confronti con gli altri paesi industrializzati, in cui produzione e idee sono sistematiche e si relazionano col complesso di attività culturali sviluppate.
Vogliamo mostrare quanto conta sul sistema-paese il lavoro fatto dal carozzone del contemporaneo? Forse molti di noi smetteranno di fare gli alteri, scoprendo non solo di essere nudi, ma di non essere nemmeno dei re.

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