Sto lavorando come curatore ad alcune mostre di arte contemporanea che si faranno in autunno. Una delle cose che più mi mette in difficoltà e decidere non tanto il titolo -che è sempre la sintesi tra istanze differenti- ma se sarà in italiano o in inglese. È indubbio che l’inglese ha una maggiore incisività (è una lingua ricca di monosillabi), mentre la nostra lingua è molto più suggestiva e complessa. L’inglese tende infatti ad essere rapido, ed in più, grazie alla forza economica, politica e tecnologica delle nazioni che lo parlano, gode del vantaggio di suonare al passo coi tempi, all’avvanguardia. Al contrario l’italiano sembra convenzionale, scontato, e lento, un po’ come è il nostro Bel Paese.
Dispiace, e come. Purtroppo viviamo in un luogo che ha per lo più perso la capacità di creare novità, pensiero contemporaneo, e la lingua ne è specchio. Ascoltate ad esempio la lingua standard, in bocca tanto ai ggiovani quanto alle generazioni di mezzo, in cui abbondano ad esempio le parole card, la quasi desinenza day, opening quando ci sono gli equivalenti italiani. Brividi.
I titoli? Speriamo l’italiano tenga. Mal che vada ci pensa papà latino.
Dispiace, e come. Purtroppo viviamo in un luogo che ha per lo più perso la capacità di creare novità, pensiero contemporaneo, e la lingua ne è specchio. Ascoltate ad esempio la lingua standard, in bocca tanto ai ggiovani quanto alle generazioni di mezzo, in cui abbondano ad esempio le parole card, la quasi desinenza day, opening quando ci sono gli equivalenti italiani. Brividi.
I titoli? Speriamo l’italiano tenga. Mal che vada ci pensa papà latino.